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La custode di mia sorella
 
La custode di mia sorella 2024-10-09 14:24:15 La Lettrice Raffinata
Voto medio 
 
2.8
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
2.0
La Lettrice Raffinata Opinione inserita da La Lettrice Raffinata    09 Ottobre, 2024
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Un figlio preferito c'è sempre

Quando ho cominciato la lettura de "La custode di mia sorella" ero tanto esaltata per il titolo in sé (che continuo comunque a considerare una scelta geniale!) quanto dubbiosa del contenuto effettivo. Non si può negare che lo spunto sia decisamente interessante, ma capita spesso di leggere buone idee svilite in trame poco solide; da questo punto di vista, Picoult non mi ha propriamente deluso, ma ciò non toglie che da una premessa simile si potesse ricavare un romanzo più coerente e lineare.

La narrazione si apre su Upper Darby, città fittizia nello Stato del Rhode Island; qui vive tra molte difficoltà la famiglia Fitzgerald, causate soprattutto dall'aggressiva forma di leucemia che anni prima è stata diagnosticata alla figlia mediana Katherine "Kate". Letteralmente concepita per essere la donatrice perfetta per la sorella, la tredicenne Andromeda "Anna" si trova di fronte all'ennesima richiesta dei genitori: donare uno dei suoi reni per salvare ancora una volta la vita a Kate. In questo caso Anna decide però di opporsi, assumendo l'avvocato Campbell Alexander per intentare una causa di emancipazione medica contro la sua stessa famiglia.

Il volume è narrato in prima persona, alternando però diversi POV che mostrano le riflessioni di tutti i Fitzgerald, oltre a quelle di Campbell e della tutrice ad litem Julia Romano. Questa decisione inizialmente non mi convinceva troppo (specie per l'eccessiva retorica nei capitoli di Anna), ma pian piano ho realizzato che la cara Jodi era riuscita a rendere ben distinguibili le voci dei protagonisti. In generale, ho trovato caratterizzati in modo solido tutti i personaggi, attorno ai quali si sviluppano delle affascinanti dinamiche relazioni disfunzionali che sono forse il maggior pregio del libro.

Il volume è molto interessante anche per gli ottimi quesiti etici che suggerisce al lettore, a prescindere dal modo in cui l'intreccio li sfrutta: è giusto fare pressione morale su un donatore? o anteporre il benessere di una persona sana alla possibilità di salvarne una malata? oppure ancora concentrare la propria attenzione in via prioritaria su uno soltanto dei propri figli? Un altro pregio -decisamente inaspettato- si nasconde nella traduzione, che fornisce al lettore nostrano una gran quantità di utili informazioni socioculturali tramite note a fondo pagina. E per concludere questa carrellata di punti a favore, devo assolutamente nominare la partenza: le prime scene sono molto incisive, con Anna che prova a racimolare qualche soldo per poi presentarsi a Campbell, dando già un'idea della sua determinazione.

Questo incipit incisivo non viene però supportato dal resto della trama, anzi si percepisce quasi una lentezza narrativa, che si scontra nettamente con la teorica urgenza della donazione alla base della storia. Il rallentamento è dovuto in parte alla volontà dell'autrice di rendere ad ogni costo sensazionalistiche le sue scelte narrative, ma anche alla quantità di sottotrame inserite successivamente. Alcune di queste servono soltanto a distrarre e fuorviare (come nel caso del padre abusivo di Campbell), altre avrebbero effettivamente beneficiato di maggior attenzione per potersi amalgamare al resto dell'intreccio -e penso in particolare a quanto viene mostrato sul personaggio di Jesse, il figlio maggiore dei Fiztgerald-, e poi c'è Julia. L'inutile Julia, con i suoi immotivati pipponi moralisti, con l'ancor più inutile sorella gemella e con una delle romance più casuali e fuori luogo di cui abbia letto recentemente.

Altri demeriti a margine sono le battute inadatte al contesto (quella del cane guida soprattutto diventa fastidiosa dopo un po'), l'esasperazione delle disgrazie che capitano alla famiglia protagonista, la presenza ridottissima della prospettiva di Kate -di cui capisco la ragione, ma ritengo ugualmente che avrebbe meritato più spazio- e la scelta di limitare quasi sempre al passato il POV della madre Sara: sarebbe stato interessante scoprire i suoi pensieri prima del finale, anche perché gli altri protagonisti raccontano dei flashback senza per questo interrompere la narrazione al presente. E proprio l'epilogo condensa l'altra grossa critica al romanzo, perché a quel punto Picoult ha deciso di immolare sull'altare della commozione ad ogni costo tutte le riflessioni fatte prima sull'autodeterminazione; e le tirate paternalistiche ed inconcludenti durante il processo fanno da adeguato contorno.

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