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Timidezza e dignità
 
Timidezza e dignità 2024-09-13 14:51:54 68
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68 Opinione inserita da 68    13 Settembre, 2024
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Vuoto onnipresente

Un uomo solo confrontato con la propria solitudine, esiziale, cruda, molesta, una vita dedita all’ insegnamento svuotata di senso, consumata e dissolta in una certezza definitiva.
È in quel preciso istante, mentre sta analizzando meticolosamente un dramma di Erik Ibsen, di fronte all’ intollerabile indifferenza, alla noia e alla noncuranza di allievi che si sentono offesi dal suo insegnamento, che il professor Elias Rukla precipita in un senso insensato che lo rende impaurito, scosso, fallito e lo porta a perdere il controllo irrimediabilmente, per analizzare in terza persona la vita di un uomo qualunque, inconcludente, senza aspettative e desideri, una vita anche fortunata grazie al matrimonio con una donna bellissima ( Eva Linde ) che lo ha tollerato per anni e che non crede di meritare.
Una certezza si manifesta, la fine della propria carriera scolastica ( dopo 25 anni di insegnamento), del matrimonio, di tutto, come trascorrere i 15 anni che lo separano dal pensionamento?
La memoria lo riporta al passato, le amicizie d’ infanzia, il se’ studente, feste, studi, discussioni, una vita scolastica proficua e frenetica, il legame con l’affabulante Johan Corneliussen, studente di filosofia, un triangolo amoroso inconsapevole, l’ amore innegabile per Eva, che ascolta avvolta nel morbido involucro del sonno, che da subito lo ha lasciato fare, donna, madre, amica, figlia, moglie.
Si era trasferita da lui per restarci, accettando di sposarlo, Elias non sa il perché, lei non gli ha mai detto d’ amarlo, oggi è semplicemente Eva Linde, una donna bellissima un po’ appesantita dagli anni. Nel presente (1989 ) ogni certezza svanisce, si sente un uomo qualunque, senza qualità, un semplice professore che non si è distinto per niente.
Continua il soliloquio esistenziale di chi non ha più niente da dire e da insegnare, nessuno è interessato ad ascoltarlo, privo di desideri, immerso in una nuova epoca, svuotata di senso, la decadenza imperversa in un presente sedato e allucinogeno in cui esprimersi solo come schiavi indebitati trovando in tal senso la propria valorizzazione sociale.
Forse è lui stesso a parlare di niente, la gente si è allontanata, è isolata, un’ insostenibile leggerezza dell’ essere che travalica l’ esistenza per farsi elemento sociale e bloccante.

…” E ora che la figlia di Eva Linde, Camilla, ha lasciato l’ appartamento, sono rimasti solo loro due, un professore un po’ alcolizzato e sua moglie, una ex bellezza ”…

Il soliloquio incalzante di un uomo giunto prematuramente alla resa dei conti, che si interpella su un sistema sociale equivoco e aberrante da cui si sente escluso, che in parte si accusa e si scusa di essere al mondo, lascia intendere un completo e complesso stato involutivo, vittima e carnefice di una situazione siffatta.
Il pessimismo intimista e trascendente sfocia nella bruta oggettività del contingente, Dag Solstad e la propria poetica, un linguaggio essenziale, scarno, ripetitivo, eccessivamente monocorde, pacatamente ossessivo, a volte inconcludente, una descrizione e dissertazione che esprime dissociazione psico-emotiva, ansia, perdita d’ identità, un’ eco inesplorata, inascoltata, onnipresente nel paludoso vuoto dell’ esistenza.

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Gianni, io l'ho letto anni fa; ne ho comunque un buon ricordo : la prima parte m'è parsa sorprendente, poi il livello si ridimensiona ...
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