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La Brexit per una barretta di cioccolato
No, lettore, non temere. Le barrette di cioccolato sovrimpresse al profilo dell’Inghilterra in copertina non preludono a nessun racconto di pasticciere raffinate, di bevande sospette per i loro effetti benefici sull'umore, di rinfreschi basati sul divino alimento e offerti per confortare austere, periferiche, vagamente depresse comunità del nord europeo.
Bournville è il sobborgo di Birmingham in cui si stanziò la grande fabbrica inglese della Cadbury col suo cioccolato che, durante la guerra, per la scarsità di burro di cacao, veniva prodotto con l’aggiunta di grassi vegetali. Vicenda noiosa, dirai. Tutt'altro: Jonathan Coe, con la su abilità di narratore, lega ad essa il culto per la tradizione degli inglesi, che anche dopo la guerra continuano ad amare la nuova formula, e sa cogliere, nella guerra commerciale dichiarata dalla Commissione europea al cioccolato britannico, una delle cause dell’avversione verso la Ue e del voto favorevole alla brexit. Nulla è infatti casuale nella costruzione narrativa di Coe e quella che appare una patetica, stantia abitudine di Mary Lamb, la protagonista della saga, puntuale nel far trovare ai figli, anche da grandi, il loro pezzo di cioccolato rigorosamente Cadbury, magari dietro le rispettive fotografie disposte sulla mensola del caminetto, si trasforma, attraverso la sua lente acuta di studioso delle vicende inglesi, in tratto antropologico profondo, da cui dipenderanno addirittura i destini futuri del Paese.
Questo legame con la tradizione appare non meno forte in Martin,uno dei tre figli di Mary, dirigente della Cadbury, che tenterà invano di superare le resistenze comunitarie al cioccolato inglese, cercando senza risultato la collaborazione di un deputato al parlamento europeo, Paul Trotter, protagonista di un’altra saga dello stesso autore, la Banda dei brocchi (non sono rari in Coe questi incroci di universi narrativi diversi).
Ancora più fermo nelle sue convinzioni nazionalistiche, antesignane dell’odierno sovranismo, è il primogenito Jack, che imposterà la campagna pubblicitaria della nuova Austin immaginandola come una guerra cui tutto il Paese è chiamato per fronteggiare l’invasione delle auto europee, in una sorta di riedizione commerciale del secondo conflitto mondiale.
Estraneo a questo tradizionalismo radicale incline al nazionalismo è il terzo figlio, Peter, musicista, che in qualche modo incarna, nel suo rapporto con la madre, le istanze dell’evoluzione e del progresso. Ragioni che si manifestano, quasi inaspettatamente, nella stessa Mary: un giorno Peter, ancora bambino, aveva sentito la madre definire “feccia del mondo” un vicino omosessuale agli arresti. Questo aveva indotto il ragazzo a tacere la propria condizione. Perciò, quando ormai grande si decide a parlarne alla madre stessa e questa lo accetta senza problemi, le ricorda, stupito, quel lontano episodio. Mary, personaggio concreto, risoluto, generalmente non problematico, sa dargli però la risposta più illuminata e pertinente possibile: i tempi cambiano, cambiano i modi di vedere la realtà, e con essi mutano gli uomini. Tutto si snoda, infatti, attraverso un arco di settant'anni, scanditi da alcuni eventi centrali (l'incoronazione di Elisabetta, i mondiali del '66 vinti dall'Inghilterra, i funerali di Diana, ecc.), che la famiglia segue, unita, attraverso la radio prima, la televisione poi. A ciascuno di tali avvenimenti corrisponde un capitolo.
Il tempo è dunque uno dei grandi temi del romanzo, anche se non sempre vi appare in un' accezione progressiva. Per Peter, l’ultimo movimento di una sonata che sta ascoltando è “come un urlo di dolore per il fatto più semplice e crudele di tutti: il trascorrere del tempo”.
Ma al di là delle trasformazioni cui gli uomini sono soggetti, nonostante la condizione umana sia contrassegnata dal modificarsi delle cose, esiste come una “voce eterea” che sussurra ripetutamente al nostro orecchio, simile a un mantra: “Tutto cambia e tutto resta uguale”, una sorta di rivisitazione della celebre sententia gattopardesca, con una accentuazione più esistenziale che storica.
Il tutto si traduce in una scansione non lineare del tempo narrativo e anche qui, come in altri suoi romanzi, Coe inizia e conclude con i personaggi più giovani, ancorati al tempo presente, dal quale muove e al quale approda il racconto.
In questo contraddittorio progredire e restare fermi, evolvere verso il futuro e ancorarsi al passato, oscillando tra la necessità del mutamento e un’idea immobilistica della società e del suo fluire, Bridget, la moglie di colore di Martin, è chiamata a svolgere, nel sistema dei personaggi, il ruolo più critico e corrosivo: in occasione della malattia della suocera, si scaglierà contro il cognato Jack e contro l’intera famiglia, accusandola di aver fatto sempre finta di non vedere che Gary, il suocero, l’aveva sempre ignorata dall'alto di un radicato e inestirpabile pregiudizio razziale.
(Spoiler) Il racconto termina con il periodo del covid, con gli errori del governo di Boris Johnson, e con una citazione minuziosa del decalogo sanitario con il quale si cerca di frenare la diffusione del virus, ma nel frattempo si lascia morire una donna anziana come Mary, separata, anzi, per meglio dire, col linguaggio di allora, “distanziata” dai figli.
E ancora una volta Coe ti commuove, ti fa riflettere con la sua ricchezza di temi, con la sua capacità di scandagliare il fiume della storia fino ai suoi rivoli più attuali, e ti fa rimpiangere che non ci sia nella nostra letteratura uno scrittore capace come lui di raccontare nei suoi aspetti più profondi ed essenziali una storia come quella italiana, non meno ricca di vicende interessanti e significative. Un cantore amabile e garbato, ma acuto ed epico, degli avvenimenti che hanno segnato e orientato il destino della nostra nazione.
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Un autore che vorrei leggere.