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L'inverno del nostro scontento
 
L'inverno del nostro scontento 2024-06-20 16:32:06 cristiano75
Voto medio 
 
2.3
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
2.0
cristiano75 Opinione inserita da cristiano75    20 Giugno, 2024
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Minore

La vetta narrativa di Stainbeck è Furore. Poi un gradino sotto cè La Valle dell'Eden.
A questi due capolavori l'autore crea una serie di romanzi "minori", anche in lunghezza che a mio parere non riescono a replicare la grandezza delle due opere sopracitate.
Questo libro, l'ultimo del premio Nobel, parte in maniera molto incisiva, ma piano piano si spegne e diventa un mattone non facile da portare avanti.
La storia è quella di un commesso di norcineria, che frustrato da un occupazione che odia e da una famiglia che pretende sempre di più decide di farsi carnefice ed adeguarsi alla logica malata della società capitalista e borghese che ha nel successo e nell'accumulo di oggetti e ricchezze il fine ultimo per dare un senso all'esistenza.
Purtroppo la narrazione è molto incerta, procede a tentoni, salti temporali, personaggi che arrivano e in un attimo spariscono, situazioni che si alternano, spesso senza un filo logico, fra di loro.
La figura della moglie, dipinta come una bellissima e sensuale compagna, che sembra adorare il protagonista ma che in verità, aspira al meglio, a comprare vestiti migliori per i propri figli a volere andare in vacanza a non volersi preoccupare per il futuro economico.
Manca l'introspezione psicologia dei personaggi, come invece avveniva in maniera grandiosa in Furore.
Le vicende sono piatte, sembra che le cose accadano così come trasportate dalle acque del fiume su percorsi tracciati.
C'è il gretto capoccia italiano, ignorante e rozzo, che vuol far ritorno in Europa.
C'è il disgraziato alcolizzato che affoga il proprio odio e rancore in bottiglie da quattro soldi.
C'è un affarista, idiota, che pensa di avere l'idea che gli farà fare soldi a coprirci la distanza da qui a Giove e con la quale spilla denaro a malcapitati e ignoranti investitori.
E poi c'è lui, la vittima del sistema, il borghese decaduto, che da padrone è diventato schiavo, che non riesce a vedere la miseria umana che ha intorno, si fa travolgere dalla grettezza e dalla ignavia di questo microcosmo di una squallida e dimentica cittadina statunitense sperduta chissà dove, una periferia del mondo dove si cova rancore, sopraffazione e miseria sociale.
Il malcontento cresce nell'anima, prolifera, mette radici e piano piano si fa tangibile, reale, supera le reticenze morali, abbatte le certezze che si sono create in una vita e quando dilaga diviene disperazione e poi azione.

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