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Ove l’irriducibile ostinato
Ove è un uomo di quasi sessant’anni (per la precisione 59 compiuti) vedovo da circa sei mesi e, da poche settimane, pure senza lavoro, perché pre-pensionato contro la sua volontà dalla società di costruzioni edili da cui dipendeva da decenni. Ormai ha un unico desiderio in testa: raggiungere al più presto possibile l’adorata moglie Sonja alla quale, ogni settimana, reca una rosa al cimitero della chiesa.
Nondimeno nel frattempo non desiste dal portare a termine tutti i compiti che s’è prefisso di svolgere quotidianamente, anzi, puntigliosamente, perché, per Ove, le regole vanno rispettate, giuste o sbagliate che siano.
Così, ogni mattina, si sveglia alle sei meno un quarto, si prepara un caffe “normale”, cioè filtrato alla vecchia maniera, non come quelle porcherie fatte con le macchine espresso, e perlustra il suo quartiere, per assicurarsi che non ci siano auto parcheggiate nel vialetto pedonale, che le biciclette siano tutte nell’apposita rimessa, che non ci siano mozziconi per terra, che sia rispettata la raccolta differenziata dei rifiuti (anche se ritiene un’idiozia la regola stessa), che gli ospiti non lascino l’auto per più di ventiquattr’ore negli spazi loro riservati, che la sua Saab sia a posto e con le gomme ben gonfie, che inesistenti vandali o, peggio, ladri non abbiano danneggiato le proprietà della zona. Poi torna a casa e, vestito elegantemente, come piaceva a Sonja, si prepara a suicidarsi, ma, manco a farlo apposta, ogni giorno accade un imprevisto: quando non si spezza la corda con cui vorrebbe impiccarsi, c’è un nuovo vicino, imbranato, che non sa manovrare col rimorchio e gli sfonda la cassetta per le lettere; o sua moglie, una piccola iraniana ‘molto’ incinta, viene a chiedergli questo o quel favore; o un gattaccio randagio e rognoso, rischia di morirgli congelato davanti a casa; o, infine, il suo vicino Rune – col quale, dopo una amicizia durata anni, è in lite perenne dal 1990 – sta per essere portato via dagli assistenti sociali perché malato di Alzheimer e non va certo bene, visto che gli uomini con la camicia bianca fanno solo guai.
Insomma, continui contrattempi gli impediscono di portare a termine il suo intento, perché, se c’è qualcosa che non va per il verso giusto, Ove si sente in dovere di porvi rimedio. Così, suo malgrado, è costretto a “mettere ordine” in quel mondo che vorrebbe solo lasciare per raggiungere il suo amore assoluto.
È difficile che in un romanzo tutti i personaggi ci risultino, all’inizio, insopportabili, antipatici e sgradevoli, ma questo libro dello svedese Fredrik Backman ci va molto vicino. Ove, ci viene presentato come un individuo fastidioso e irritante; “amaro come una medicina” lo definiscono i vicini. Per un italiano, poi, che, tipicamente osserva regole e convenzioni interpretandole in modo “creativo” per adattarle ai propri bisogni e utilità, la rigida, intransigente ottemperanza alle norme, anche quelle più futili e astruse, che dà Ove è veramente troppo da digerire. La sua inflessibilità mentale ci rammenta certe rigidità di pensiero tipiche di alcune forme di autismo: lui si sente in obbligo, non solo di rispettare pedantemente tutte le direttive, anche quelle che si è autoimposto, in maniera risoluta, ma di farle rispettare, con toni aggressivi, pure a tutti gli altri e se non ce la fa, va su tutte le furie. Insomma è un vero piantagrane.
Però, è inevitabile che un personaggio così dia occasione per innumerevoli scenette comiche e, dopo un po’, non si faccia che ridere, di cuore, delle sue disavventure, dei battibecchi con Parvaneh, la vicina di origini persiane, degli scherzi che faceva a Rune (tanto simili alle “battaglie” che Paperino ingaggiava con l’irriducbile vicino Mr, Jones), della sua ossessiva mania per le Saab. Si ride pure delle evenienze tragiche, come l’infinita serie di tentativi di suicidio non andati a buon fine.
L’A., poi, furbescamente, usa tutti gli artifici per farci diventare inesorabilmente simpatico il povero Ove del quale scopriamo, pian piano, che è nato, è vero, con un carattere chiuso e introverso, ma che la vita non ha contribuito affatto ad addolcirlo, colpendolo con ogni possibile serie di disgrazie e tribolazioni. Inoltre, quel suo desiderio maniacale di sistemare ogni cosa nasconde una bontà infinita, un animo che mal accetta di vedere ingiustizie e dolore negli altri senza cercare di dare il meglio di sé stesso per risolverli o, almeno, lenirli.
Chi ha familiarità con il fumetto americano “Dennis la minaccia”, in lui non può che individuare il burbero, ma generoso Mr. Wilson, ma sono tanti i modelli nella letteratura di generosi scorbutici che alla fine sentiamo di amare totalmente.
In definitiva si tratta di un buon romanzo abilmente strutturato e narrato, dove la comicità di facciata, talvolta irresistibile, vela anche una profonda malinconia e commossa dolcezza. Alla fine, incredibilmente, si inizia quasi a invidiare quel rione sperduto della Svezia con il suo intransigente sistematore di ogni stortura e a voler bene a quel rompiscatole di Ove.
Ottima storia, quindi, e, in definitiva, pure buono spunto per una trasposizione cinematografica. Non per nulla ne sono già stati tratti due film, uno svedese e uno, molto più recente, che vede nei panni del protagonista un Tom Hanks molto nella parte.