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Tormento irrisolto
”Sono Tollak di Ingeborg. Appartengo al passato. Lungi da me l’ idea di trovare il mio posto da qualsiasi altra parte”…
Un grande amore posseduto dall’ eros e imbrattato di una solitudine che rasenta la follia, vissuto con un impeto tracimato nella solitudine più nera.
Che cosa rimane dopo la sua dissolvenza, prevista e prevedibile, un se’ braccato dalle forze demoniache che glielo hanno sottratto, immobilizzandolo nel passato, pervaso da una rabbia atavica, un tardivo e inutile pentimento, stentando a riconoscersi, vita e monologhi condivisi con un’eco lontana.
Tollak è un uomo burbero, funestato da una rabbia cieca, giorni insopportabili nel profumo dell’ alcool, l’ esigenza di stare solo, figlio di una famiglia vissuta di dissidi e di sangue amaro. Da anni l’ amata moglie Ingeborg, donna dolce, dai bei lineamenti, con una voce profonda, leggera, forbita, e’ scomparsa, uscita di casa per non farvi ritorno, mistero irrisolto, tormento irrisolvibile, la propria ombra inseguita dai cani neri.
Due figli lontani, rapporti tesi, lacerati, dissolti, il cortile, la stalla, la segheria, i boschi del Vestmarka, le alture del Sorfjellet, sono questi i paesaggi e l’ ambiente che accompagnano Tollak da sempre.
In lui una dicotomia manifesta, figlia della propria storia, addolcita e ammansita solo in parte da Ingeborg che sa come prendersi cura dell’ altro, che riconosce il senso di un amore vissuto con pienezza e la necessità di preservare spazi incondivisibili, aderendo a se stessa, all’ idea di una vita che non sia una prigione di sopravvivenza.
Tollak al contrario sosta in un concetto di amore egoistico, in una gelosia prevaricatrice e totalizzante, in un isolamento sociale ed emotivo, inviso ai figli, ai vicini, ai parenti, persino a se stesso.
C’è un prima e un dopo la scomparsa di Ingeborg, un modo diverso di guardarsi e di leggersi dentro, la sofferenza della solitudine, l’ isolamento autoimposto, sguardi perplessi, indagatori, accusatori, un ragazzo che si è fatto uomo ma che non è come gli altri, ( Oddo ), pallido, dagli occhi impauriti, che sta nella stalla tutto il giorno, che ha ribaltato tutto ciò che si era, di cui prendersi cura e a cui volere bene.
Che cosa significa fraternizzare con se stessi, quanto tempo per conoscersi, tollerarsi, conviverci, quante volte Tollak ha letto e visto dentro di se’ un uomo diverso, furente, attraversato da una rabbia cieca
…Alla fine avevamo trovato il nostro modo tranquillo e silenzioso di vivere, il mio”…
Gli anni a venire amplificano solitudine, isolamento, rimpianti, oggi il suo comportamento sarebbe stato diverso, in lui il desiderio di un riavvicinamento alla progenie, scoprendo il proprio volto.
Alla fine permane l’ intollerabilità di un gesto, nessuna richiesta di assoluzione, quanti comportamenti scorretti e deliranti nei confronti di chi ci stava accanto, ci amava, era la nostra famiglia.
“La mia Ingeborg “ è un testo crudo, reale, torbido, Tore Renberg costruisce un thriller psicologico e affettivo imbevuto della solitudine più vera. La rabbia di Tollak lo ha accompagnato da sempre, siede al suo tavolo, giorni violenti, assenze protratte, notti insonni, attimi imbevuti di paura, per anni disinnescata dagli occhi dolci e dalle parole suadenti di un amore che credeva eterno, una rabbia pronta ad esplodere, preservando se stessi, un affetto negato, il passato irrisolto.
E allora non c’è più niente in cui sperare e per cui vivere all’ interno di una prigione autoimposta, anni trascorsi nel buio e nella trasandatezza di una lenta agonia, convivendo con un se’ ritrovato e rinnovato, una vocina che alimenta coscienza e verità imprescindibili.
Perdono imperdonabile, amore dissolto, il fuoco della disperazione e della follia, una certezza tardiva:
…” Ti amo, e sarò per sempre: Tollak di Ingeborg”…