Dettagli Recensione
UNA LUNGA DELUSIONE
Avevo voglia di un romanzo pieno, corposo, coinvolgente e mi sono fatta attirare dai tanti elogi a “Una vita come tante”, che parlavano di una storia struggente, commovente e così via.
Neanche a dirlo, le mie aspettative sono state deluse.
Visto che le cose da dire sono tante, andrò per blocchi:
STILE: ho letto commenti entusiasti sullo stile dell’autrice e mi trovo fortemente in disaccordo. La scrittura non ha nulla di riconoscibile o di particolarmente interessante. Le descrizioni più accurate sembrano essere solo quelle incentrate sul dolore, a discapito degli altri momenti in cui sembra quasi che l’autrice inserisca tante più informazioni possibili in una sola frase, con il risultato che, anziché creare un’atmosfera in cui il lettore si possa immergere, si ha la sensazione che quelle parole servano solo a fare finta di darci una dimensione reale. I salti temporali (non tanto tra passato e presente, ma in avanti), che potrebbero anche avere un senso, vanno ad inserirsi sempre dopo un fatto specifico di grande portata, con la sensazione che ci vengano risparmiati, non tanto i momenti noiosi, quanto piuttosto i conflitti che ne susseguono con la conseguente vacuità di tutte le situazioni. I dialoghi sono fatui e surreali, infarciti di termini che, data l’incapacità dei personaggi di confrontarsi con le situazioni, suonano forzati e didascalici.
PERSONAGGI: i personaggi sono, a mio avviso uno degli aspetti peggiori del romanzo. Il primo elemento fastidioso è che il libro ci viene presentato parlandoci di quattro amici, ma il quartetto ha una rilevanza soltanto nelle primissime parti, per divenire poi più una sorta di espediente per risolvere determinate situazioni che non una reale intenzione di portare avanti quattro storie parallele. Nel corso del romanzo non assistiamo ad una vera evoluzione dei protagonisti, vediamo soltanto la loro ascesa sociale che non si accompagna ad una reale crescita personale, ad un aumento di consapevolezza. Ci vengono presentate figure sempre pronte ad aiutare Jude, nonostante non capiscano realmente cosa gli accada, non vadano mai a fondo dei problemi. La sensazione che mi è rimasta è quella di figure di carta, creature fittizie che simulano sentimenti come se non li conoscessero realmente, ma, sapendone l’esistenza, li imitino. L’essere adulti viene descritto soltanto attraverso i traguardi lavorativi, che, ovviamente, sono assolutamente enormi per tutti, come se fossero nel racconto di un bambino cui venga chiesto cosa fanno i grandi e risponda “Lavorano”. I rapporti non comunicano concretezza, gli screzi sono poco credibili e, sebbene la presenza di una costante propaganda sul buon cuore di chiunque sia accanto a Jude, nessuno sembra davvero mai prendere in mano la situazione, se non dopo lunghi anni ed episodi molto gravi. Jude, che diventa il fulcro della storia, avrebbe molto potenziale, poiché potrebbe essere il veicolo della comprensione del dolore di chi ha subito episodi gravissimi come accaduto a lui, ma anche qui mi è rimasto un sapore strano in bocca, come se le emozioni da lui vissute non vengano raccontate con una conoscenza reale di fondo (non tanto personale, quanto del tema), ma come l’imitazione di quello che “forse si proverebbe in quei casi”. L’unico momento in cui ho sentito che qualche emozione fosse verosimile è verso la fine, dopo uno specifico episodio che non andrò a spoilerare. Beh, dopo 900 pagine, un’emozione è arrivata.
IL DOLORE: segnalo qualche piccolo SPOILER in questa sezione. Ho letto molto riguardo alla sovrabbondanza di dolore, c’è chi ritiene sia esagerata, chi sostiene che sia necessaria per rendere empatici verso chi soffre (forse parole della stessa autrice?). Qui la mia opinione è puramente di natura personale. Il dolore ha molteplici forme e talvolta, depressione, odio verso di sé, vergogna e tutte le altre terribili espressioni, compaiono anche se non si è passati attraverso le tragedie di Jude. Come già scritto, la sensazione è che manchi qualcosa, la conoscenza reale di cosa significhi il dolore, quello che stringe lo stomaco, che ti fa guardare lo specchio e provare schifo per te stesso, che spinge così forte nel petto che l’unico modo è sentirlo sulla pelle per provare un po’ di sollievo. Ci viene descritto tutto nel minimo dettaglio, ma no, non sono mai riuscita a sentirmi partecipe. Il dolore più realistico è verso la fine del romanzo, il dolore di una perdita, lì sembra che l’autrice fosse più padrona delle emozioni ed è l’unico punto dove le lacrime sono scese. Riporto un ultimo parere. Se l’intento fosse stato quello di raccontarci il vissuto di una persona vittima di abusi, la trama ha un senso, questa full immersion nel trauma ha un senso, ma se l’obiettivo fosse stato invece quello di creare empatia verso il dolore altrui mi sento di dire che sia stato fatto in modo più adulatorio, per attrarre le lacrime facili. Chi può restare indifferente nei confronti di tanti patimenti?
Credo che la vera bravura stia nel farci empatizzare verso il dolore comune, quello che dilaga per episodi considerabili senza rilevanza, il dolore quotidiano di stare al mondo.
Conoscendo cosa significhi stare accanto a chi soffre di un disturbo grave, posso dire che manchi ancora una cosa: il senso di impotenza. Vedere chi ami stare male è qualcosa che devasta, non poter trovare una soluzione è corrosivo. I personaggi qui ogni tanto si dicono “ok, questo aspetto fa parte di lui”, ma a me non è mai arrivato il pungo allo stomaco di sapere che non potrai mai fare nulla, che l’altro proseguirà nella sua discesa verso gli inferi e tu sarai lì, sempre con la tua mano stesa per dargli aiuto e la vedrai sempre vuota.
VARIE: Ho letto anche io che l’etichetta data a questo romanzo è quella di “romanzo gay”, anche se onestamente non trovo che sia un elemento di alcuna rilevanza ai fini della trama o della ricchezza della storia. Questo romanzo tratta l’argomento dell’identità sessuale, ma senza mai veramente andare a fondo; come anche qualche discorso iniziale tra JB e Malcolm incentrato sull’essere neri, sparito poi tra le pagine. Questi elementi sembrano inseriti più per allinearsi con le tendenze del momento che non per una capacità di svolgerli a pieno, di costruire delle opinioni, di portare avanti un credo personale o di denunciare qualcosa. I personaggi sono inseriti in un ambiente che diventa asettico, dove non esiste neanche la complessità di avere un lavoro “normale”, le case sono belle, il successo è garantito, il tutto non fa che accrescere la sensazione di irrealtà, ma mai quando ci racconta di Jude, che sarebbe invece il momento in cui dovremmo sentirci più alienati, dovremmo poter entrare in contatto con quel dolore senza eguali, toccare con mano l’assoluta mancanza di punti fermi.
Ho anche letto di alcune persone che lamentavano la poca presenza di figure femminili, che restano ai margini della storia. Rispetto a questo mi sento di dire che non trovo necessario che ci siano donne per immedesimarmi in una storia e forse qui l’intento era quello di farci immergere nell’amicizia maschile, mostrandoci pregi e difetti, anche se quello a cui assistiamo sono spunti di assoluta bontà e disponibilità verso Jude, che suonano come la didascalia “GUARDA, QUESTI GESTI DI BONTA’ SONO PER DIRE CHE L’AMICIZIA E LA GENTILEZZA SONO IMPORTANTI”.
CONCLUSIONI (FINALMENTE!!!): il libro è didascalico nei messaggi di bontà, di gentilezza, ma resta vacuo. Tratta il dolore, gli abusi, ma mancando, secondo me, di basi solide di conoscenza di chi ha subito traumi tanto gravi. Ci accompagna in un percorso che non vede una crescita dei personaggi, ma una staticità che rende noiosa la lettura.
Sicuramente questa è soltanto un’opinione, un libro va letto perché ognuno di noi è diverso e può trovare spunti che magari a me sono mancati.
Lato positivo, 1000 e passa pagine e il peso specifico di un metallo alieno, saranno sicuramente utili a qualcosa.
Commenti
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Già la copertina mi pare piuttosto brutta e respingente.