Dettagli Recensione
Rassegnazione….
Un gelo onnipresente e onnicomprensivo, ambientazioni buie, cupe, pesanti, anime perseguitate da tristi presagi, due protagonisti lontanamente vicini fino a toccarsi, un nichilismo che profuma di dissolvenza. In una prosa ripetitiva, ossessivamente lucida, anche delirante, cara a Bernhard, pensieri difformi, monologhi torrenziali che creano, trasformano, trasfondono immagini, suoni, voci, oggetti, parole, una cupezza afinalistica che ritorna all’ essenza primaria, scartando l’ ovvio per cedere a solitudine, incomunicabilità, sofferenza.
Un giovane assistente medico inviato a Weng, sperduta località montana, dal chirurgo Strauch per studiare il comportamento del fratello, un ex pittore che ha bruciato tutti i suoi quadri. Situato in una fossa è il posto più malinconico che esiste, disossato, lugubre, funesto, presagio di malattia e morte. Alloggerà, come il pittore, in una locanda frequentata da individui loschi, ripugnanti, controversi, contornato da ombre di uomini, voci di ubriachi, infantili e stridule, frammenti di vite sconosciute, una gelida rappresentazione umana.
L’incontro e la frequentazione con il pittore innescano un monologo su tematiche perlopiù artistiche, filosofiche, esistenziali, sovente inconcludente, fatalista, mai banale, un meccanismo interno di disintegrazione difficile da comprendere per chi abita un mondo scientificamente costruito su un fine, la conservazione della vita.
Chi è Strauch, artista folle, fine pensatore, misantropo, egocentrico, anima indirizzata a suicidio certo, semplice oggetto di studio e diagnosi, un uomo che soffre di una malattia mortale, caduto in depressione, quanto presente a se stesso, agli altri, al reale? Come frequentarlo preservandosi dalla sua grandezza fagocitante, come relazionarsi con chi sa leggerti dentro conservando il proprio anonimato, fluidifica ogni cosa e ti sovrasta?
Malattia, dolore, ricordi, una vita da subito indirizzata alla solitudine affettiva dal desiderio di altro, un’ eccentricità straordinaria, unica, irraggiungibile nel proprio flusso autoanalitco, Strauch ha bruciato tutti i suoi quadri quando ha capito che non valevano niente, perso nei propri pensieri, condannato, a pochi passi dalla rovina.
Due vite estranee e complementari percorse da un fluire lento, agitate e corrose dai propri pensieri, che condividono un senso di solitudine, il non essere mai stati amati, costrette a badare a se stesse precocemente.
Una voce narrante non inquieta e irritata come il pittore, per il quale malattia e dalla morte sono cessazione del dolore, liberazione, in primis da se stesso e dal proprio vuoto interiore.
Un cambiamento in atto, corresponsione e dimenticanza, lo scopo del proprio soggiorno, immersi in una quotidianità monca, in
….” un’ umanità incomprensibile perché umana e comprensibilissima perché inumana”…
sovrastati da una tristezza sovrapposta alla sofferenza.
Il pittore e’ un individuo enigmatico in conflitto con se stesso, per il quale tutto e’ passato, lontano, finito, votato a un esito infausto, una soggettività sovrastante, il narratore ha un incarico a termine che lo costringe a prendere appunti ma non sa da dove cominciare. Strauch è inclassificabile, incompreso, incomprensibile, inabissato, si è impossessato dell’ interlocutore, preda impotente di opinioni, morbosità, assurdità.
Un percorso in parte condiviso, lunghe peregrinazioni, dialoghi interminabili, due individui, un esperimento, inizio e fine di tutto…
… “ la vita è disperazione pura, è la disperazione più chiara, la più oscura e la più cristallina delle disperazioni. Lì dentro ci conduce soltanto un sentiero che attraversa la neve e il ghiaccio, lì dentro nell’ umana disperazione in cui si è costretti a entrare: al di là dell’ adulterio commesso dalla ragione”…
….” sono così esausto, sono incredibilmente esausto”….
La lenta e ripetitiva prosa di Thomas Bernhard evidenzia un’ ossessione da subito manifesta, quel gelo onnipresente e onnicomprensivo, in primis nella mente di chi osserva e non si accontenta. Quanto il proprio paesaggio interiore, nella lugubre e spoglia esteriorità, in una infinita ragnatela di cause ed effetti, si alimenta e basta a se stesso, quanto la propria spiritualità riflette sul senso insensato di una vita vivisezionata e fluidificata?
Qualsiasi contatto esterno smarrito da tempo, una parte di se’ scomparsa prematuramente, condannati alla tristezza e alla sofferenza, dispersi, nel mentre c’è chi fa ritorno al proprio cammino pregresso.