Dettagli Recensione
Quale identità’ ci appartiene
. …” Non importa quanto dai da mangiare al lupo, guarderà sempre verso il bosco. Siamo tutti lupi nell’ impenetrabile bosco dell’eterno”…
Identità, fratellanza, famiglia, scienza, bioetica, immortalità, Karl Ove Knausgard scrive un’ opera enciclopedica tra Norvegia e Russia, richiama un tempo reale e sentimentale, vita e destino di due fratelli di padre, Syvert e Alevtina, per quarant’anni ignari l’ uno dell’altra, riavvicinati da alcune lettere che ne svelano origine e comunanza.
Vite a distanza per comprendere quello che non è stato, cosa è mancato, cosa resta, chi si è realmente.
La prosa di Knausgard è un flusso inarrestabile di dettagli, gesti quotidiani e pensieri difformi, la coscienza dei protagonisti percorsa da un’ inquietudine manifesta mentre grandi temi, origine, identità, senso del vivere e del morire, occupano e percuotono il palcoscenico dell’ esistenza.
Syvert, ventenne rientrato a casa dopo il servizio militare, è un giovanotto acerbo e senza prospettive, che vive alla giornata con una dose di superficialità e spensieratezza, uscite con gli amici, birra e calcio, amori paventati e idealizzati. Dovrà cambiare rotta, crescere in fretta, occuparsi del fratello dodicenne Joar, un’ anima ipersensibile e intelligente che va preservata dal mondo in assenza della madre malata e del padre, morto da dieci anni.
Un padre che Syvert non ha mai conosciuto realmente, che gli appare in sogno, del quale non ha ricordi evidenti, che ha vissuto un’ esistenza parallela e amato un’ altra donna con cui avrebbe voluto costruire un futuro in Russia. La sua vita cambia, il fantasma paterno si ripresenta, alcuni ricordi si risvegliano insieme a dubbi e domande in un presente in cui Syvert deve sostituirsi ai genitori, cercarsi un impiego, vivere nel reale.
Alevtina è una donna affascinante e controversa, con un passato da biologa evoluzionista, un figlio ventiseienne e un altro di cinque, una relazione giovanile sepolta e un nuovo compagno, dolce e affidabile. Percorsa in gioventù da un’ inquietudine intellettiva che spazia dalla letteratura alla biologia, sceglie un approccio scientifico che spieghi l’ origine dell’esistenza, per cedere a un senso di fallimento personale e dedicarsi alla professione medica sulle orme della madre defunta.
In lei vive il rimpianto di non averla conosciuta e capita abbastanza, di averla condivisa con altri, di non poterla più abbracciare, ancorata a un padre rinchiuso nella propria testa e nei libri, totalmente disinteressato alla natura.
In lei emerge una menomazione genitoriale evidente, l’ idea di un’ altra famiglia, la possibilità che tutto crolli improvvisamente.
Chi siamo realmente e che
…” cos’è la vita oltre il vuoto desiderio di colmare il vuoto”…?
C’è una vita in natura che scorre a prescindere, che basta a se stessa, cresce, ricopre, si espande, e c’è dell’ altro, pensieri che creano distanza in un’esistenza fondata sul tempo e sulla differenza.
Permane una sensazione forte che tutto sia dentro di noi, che si possa esserci e non esserci, vivere e adattarsi, lasciare andare, adeguarsi, affidarsi alle capacità, accettare i propri limiti, apprezzare quello che non si è scelto.
Inevitabilmente ci si interroga sulla propria identità, sui sentimenti, su che cosa si conosce di se’, pervasi da un senso di solitudine, da un’ allegria malinconica, da sempre in fuga, ignari di non avere pianto abbastanza, ricoperti di finzione, menzogne, terrorizzati dall’ idea di accedere
…” a una stanza completamente nuova nella casa che ero io”….
La resa dei conti ci pone di fronte a uno specchio, in fuga dal ricordo di un padre che non abbiamo conosciuto abbastanza, incapaci di includere gli altri come faceva nostra madre, con la sensazione di non amarsi abbastanza.
La resa dei conti ci siede di fronte, quella metà di noi che un po’ ci somiglia, qualcuno che non vuole mentire, parole che non sanno di circostanza e una domanda:
…“ Chi sei?”…
E’ questo l’eterno dilemma, la ricerca delle proprie origini, di chi ha contribuito a determinare quello che siamo. Difficile dirlo in un percorso controverso che ci ha sottratto al nostro io più profondo, con assenze sostanziali, una vita che poteva andare diversamente.
Spogliati e soli, persi gli affetti più cari, gettata la maschera di superficialità e inconcludenza, vagando nell’ ombra, indugiando davanti a una porta spalancata su qualcosa che ci appartiene,
…” tutti portiamo dentro la nostra morte”…
ma c’è una stella lucente che risplende in cielo improvvisa e la morte in quel mentre si assenta.
Karl Ove Knausgard conferma il proprio talento, un flusso narrativo ininterrotto, la rara capacità di penetrare e descrivere il cuore dell’ esistenza partendo dal quotidiano, scavando nell’io, una sospensione enigmatica e malinconica tra vita e morte che investe i protagonisti oltre la banale apparenza.
È una narrazione complessa rivestita di semplicità, imbevuta di dissertazioni scientifiche e filosofiche ( Il dibattito aperto sull’ immortalità ), che non basta a se’ stessa e che lascia un senso di inquietudine, tra ironia e sarcasmo, che induce alla riflessione, continua, ripetuta, asfissiante, degno erede della grande tradizione nordica.