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Il dolore della memoria
….” Sarebbe il caso di indagare come in alcuni momenti fugaci e imprevedibili restano impressi nella memoria, e invece altri, in teoria più importanti, svaniscono per sempre”..
Un dolore negato a se stessi per la paura di viverlo, un’ inquietudine tralasciata per dieci anni improvvisamente risorta. Questo accade a Baumgartner, un filosofo e accademico che ha perso la metà di se stesso, l’amata moglie Anne, in circostanze improvvise e imprevedibili, un uomo solo, affranto, …”un moncone che ha cercato di anestetizzarsi”….
Oggi il protagonista pare restituito alla vita, insegna, scrive, pubblica, ha nuove amicizie, insegue le donne, si emoziona, desidera, crede di amare, ma dentro è già morto e ne è consapevole, avvolto in una dissimulazione protratta.
La comparsa in sogno della moglie, sospesa in un Grande Nulla, un vuoto assoluto e silenzioso dove trattenerla, un limbo di vita non vita che si spezzerà solo alla morte di Baumgartner e alla scomparsa della coscienza di lei, per lui una rivelazione e l’ inizio di una elaborazione stratificata.
Riaffiora il paesaggio della memoria, scritti, ricordi, incontri, immagini, una ricostruzione per sopportare e capire il presente, buio assoluto da cui aprire una finestra sul mondo all’ inseguimento del cielo aperto.
La memoria non è solo un contenitore di ricordi ma comprende momenti vividi, sensazioni indescrivibili, emozioni inestirpabili, un organo che ci riguarda intensamente, parlandoci di noi, di quello che siamo, abbiamo vissuto, ci hanno insegnato.
Il sogno pone Baumgartner di fronte al passato senza la paura di rimanervi incastrato, un sogno in cui passeggia con Anna, quarant’anni di vita insieme, le parla, l’ ascolta, convogliando le proprie energie nel presente e riscrivendo il rapporto con il fantasma di lei, una verità emotiva che alla fine conta, riavvicinandolo a se stesso, ai suoi sentimenti e a ciò che prova rispetto a quei sentimenti.
Fino a quel sogno non si era liberato del fantasma di Anna se non materialmente, eliminando tutto ciò che la riguarda, ricercandola altrove, ma in se’ nulla è cambiato, un immobilismo che osteggia la vita, il dolore parte integrante.
Il percorso della memoria lo consegna a un se’ bambino, un padre ebreo migrante che fu un sognatore sfortunato, una madre senza madre che ha amato intensamente, ora pare pronto a raccontare, a raccontarsi, a vivere.
Gli scritti di Anna, traduttrice, poetessa, idealista, una ragazza dell’ alta borghesia di cui non si è mai sentita parte, i propri studi, gli scritti, acuti, impegnativi, indigesti, a cui dedicare tutto se’ stesso, una vita senza la paura di perderla, il ritorno ad antichi entusiasmi e a momenti apparentemente sepolti.
Il presente sembra aprirsi a un se’ invecchiato e rinvigorito, un’idea per celebrare il ricordo di un amore così grande e una strada da percorrere senza la paura di ricadere nel passato infausto,
..”incamminandosi nella debole luce invernale in cerca di aiuto”…
per aprire il capitolo finale della saga di Baumgartner.
Un romanzo con una trama scarna attraversata dai grandi temi di una vita, il ruolo della memoria, assenza, dolore, il senso di un amore, famiglia, radici, solitudine, relazioni, storia, la propria percezione di se’ e degli altri, il racconto per riappropriarsi di significati nascosti, l’ importanza della scrittura, il potere di linguaggio e parola.
Una scrittura densa, centellinata, essenziale in un palcoscenico via via svuotato e riempito di porzioni di storie e di personaggi, vicini e lontani, assenze-presenze riproposte ed elaborate nella mente del protagonista.
Alla fine si ha l’ impressione di essersi avventurati in un viaggio della memoria alla ricerca delle coordinate mancanti perdendosi nei suoi misteri irrisolti, costruendo porzioni di storie grazie alle quali respirare un senso apparentemente insensato.
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Gli ultimi suoi due testi letti sono stati per me due delusioni. Di Auster mi è piaciuto soltanto "L'invenzione della solitudine".