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Il treno
 
Il treno 2023-11-15 09:14:15 camillaru
Voto medio 
 
2.8
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
2.0
camillaru Opinione inserita da camillaru    15 Novembre, 2023
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La squallida passione di un uomo ordinario

Che storia vuole raccontarci Simenon con questo romanzo? Una storia d'amore? Di passione? Oppure, più verosimilmente, una squallida parentesi di vita di un uomo ordinario?

"Il treno" inizia con uno spaccato di felice vita familiare: l'odore del caffè che si diffonde in una casa di un villaggio di campagna, abitata da una bambina, una donna incinta e un padre che si prepara ad una giornata di lavoro nella bottega adiacente all'abitazione. Sembra una normale e soleggiata mattina di agosto a Fumay, piccola cittadina sul confine francese, quando la Guerra irrompe con tutta la sua violenza costringendo gli abitanti all'evacuazione. Tra questi c'è anche la famiglia di Marcel, che, dopo aver chiuso rapidamente i bagagli, si dirige alla stazione insieme a sciami di profughi per salire su uno dei pochi treni disponibili. Moglie e figlia da una parte, marito dall'altra: Marcel si ritrova all'interno di un carro bestiame che, a causa degli stravolgimenti della guerra, sarà addirittura separato dal resto del convoglio, finendo, infine, a La Rochelle.

Quello che succede nel vagone del treno rispecchia perfettamente la sospensione della morale in tempo di crisi raccontata dai più celebri autori della letteratura di tutti i tempi (da Tucidide con la peste di Atene, a Manzoni con gli avvenimenti di Milano). E così anche Marcel, in poche ore, dimentica i propri doveri coniugali e si abbandona alla passione insieme ad Anna, una donna ceca di origine ebrea salita a bordo dopo l'evacuazione di una prigione.

Sicuramente straniante è, dal primo momento, l'indolenza (per non dire indifferenza) del protagonista di fronte agli stravolgimenti imposti dalla guerra: non un momento di esitazione, né di avvilimento o disperazione, anzi, quasi una certa compiacenza nei confronti del destino che lo allontana dalla propria apparentemente idilliaca vita quotidiana. È un uomo banale, Marcel: cagionevole fin da bambino, privo di qualsiasi specifica qualità, fortemente miope (la sua unica preoccupazione è quella di ritrovarsi senza gli occhiali di scorta nella tasca), sembra essersi trovato per caso nella sua vita borghese, tanto da non dispiacersi affatto di doverla abbandonare. Anche nella ricerca del vagone che ospitava sua moglie e sua figlia, Marcel agisce con un certo automatismo: si reca ogni giorno a controllare gli elenchi degli sfollati senza mostrare particolare apprensione, e torna indietro serenamente quando si accorge che i nomi da lui cercati non sono nella lista.

Anna, dal canto suo, si attacca a lui con l'ostinazione di un cane fedele: lo segue ovunque, in silenzio, senza fare domande e senza spingersi oltre il limite invalicabile che è la vita fuori dalla condizione in cui si trovano. Vivono clandestinamente in un campo profughi per cittadini belgi, e quel luogo di disperazione diventa la loro oasi d'amore, in cui fanno colazione al bar, comprano vestiti e si abbandonano a lunghi picnic sulle spiagge del porto. Entrambi consapevoli della mancanza di un domani, sospesi in un limbo i di quella che Anna chiama, puerilmente, felicità.

Quei momenti sono destinati a finire e, infatti, finiranno. La storia ci viene raccontata da Marcel nella speranza di lasciare al figlio un'immagine diversa di sé stesso, dimostrandogli che, anche solo per un breve periodo, è stato in grado di provare delle passioni. Ma è davvero così?

Marcel non ha, in realtà, passione per nulla. Vive in una bolla, completamente estraniato dal mondo che lo circonda, come se la miopia gli affliggesse più il pensiero che la vista in sé. Non si preoccupa della figlia e della moglie lontane, né del figlio in arrivo in un ospedale di guerra; non si preoccupa di aver abbandonato il proprio laboratorio a dei predoni stranieri, tantomeno di lasciare gli animali della sua fattoria incustoditi e destinati alla morte. E non si preoccupa nemmeno di Anna, che abbandonerà (apparentemente) con più dispiacere rispetto al resto, salvo poi riservarle la stessa indifferente brutalità alla fine del romanzo.

È un libro che scorre lento, nonostante i continui stravolgimenti della sorte, proprio per la mancanza di trasporto del protagonista su cui sono incentrati gli avvenimenti. Sembra di assistere costantemente alla rivincita di un uomo che, nella sua vita, non ha mai potuto fare ciò che realmente voleva (per fortuna, aggiungerei). La sua libertà si manifesta nella possibilità di deresponsabilizzarsi, di vivere solo per sé potendo trascurare le conseguenze delle proprie azioni. Quando, al contrario, la quotidianità ritrova il suo ordine e ogni azione ha il peso che le spetta, non esiterà a mettere a repentaglio la vita di chi dice di amare pur di non modificare niente della sua ordinaria esistenza borghese.

Non il migliore romanzo di Simenon, nonostante meritino una menzione speciale i meravigliosi momenti di lirismo nel descrivere gli atti della passione erotica.

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