Dettagli Recensione
Verità omologata e finzione soggettivata
….” Alla fine si riduce tutto a questo, una persona passa la vita a dire addio alle altre persone. Ma come si fa a dire addio a se stessi? “….
“ Rumore bianco “ riproduce una dimensione allargata partendo da un reale circostanziato e provinciale di una famiglia americana media impegnata nel quotidiano.
Rumori, sensazioni, accadimenti, omologazione, l’ ansia del presente, uno stato di precarietà impregnato di uno sguardo soggettivato attraversano età differenti e accadimenti, scontati, imprevisti, indecifrabili.
Jack Gladney è un professore universitario fondatore di un istituto di studi hitleriani, quattro matrimoni alle spalle, diversi figli, una compagna, Babette, pervasa da ossessione ansiogena e senso di morte, una coppia attraversata da una precarietà che cerca di condividere.
Generazioni a confronto, una sovrastruttura che incombe e ricopre vite omologate, codici comunicativi, attività extrasensoriali, realtà apparente, significati da attribuire per chi è stato esposto in un breve momento a una nube tossica che può restituire un futuro indigesto.
Chi siamo realmente in una visione esterna ed estranea a noi stessi che ci appartiene, oggetti di un quadro più ampio, fruitori di una felicità omologata, una massa indistinta di consumatori alla ricerca di un senso in una comunanza condivisa, semplici spettatori di un’ emergenza climatica da tempo presente che ci tocca direttamente quando una nube tossica ci sovrasta allontanando sogni poco evidenti.
Come siamo inclusi in eventi che giudichiamo scontati, che trasformiamo in oggetti di appartenenza, che cosa percepiamo di una realtà che sappiamo descrivere solo grossolanamente, sottratti a noi stessi ed esposti continuamente ad attività extrasensoriali, onde, radiazioni?
In fondo vediamo con occhi altrui, fotografando l’ atto del fotografare, nel qui e nell’ ora, mangiamo compulsivamente, inseguiamo una pienezza dell’ essere nella variegata sembianza dei nostri acquisti, compriamo per il semplice piacere di farlo, non siamo che bizzarre maschere di felicità in enormi supermercati puliti e moderni, immersi in un perenne rumore assordante, indossiamo capi che ci parlano restituendo un senso di identità e di pienezza, semplici meccanismi di un sistema invisibile e angosciante con cui interagire.
E allora, fagocitati da un reale siffatto, passivamente attivi, esposti e anestetizzati da uno schermo televisivo che riempie le nostre vite sedentarie e circostanziate proiettando catastrofi sempre più grandi, che quando non ci riempie di rabbia ci spaventa a morte, siamo travolti e impregnati dal desiderio e dal gusto soddisfatto di vederne di sempre più grandi.
C’ è un’ altra dimensione, privata, soggettiva, quel se’ sensibile e presente a se stesso, un sistema relazionale che include dinamiche famigliari personali e affettive che sfuggono a una evidenza oggettivata richiamando sentimenti, senso di colpa, amore, mistero, ascolto, emozione, la propria essenza più vera che origina da un passato complesso sfociato nell’ oggi.
Forse la famiglia pare essere
… “ la culla mondiale delle informazioni sbagliate, con un qualcosa che genera errori fattuali, l’ eccesso di prossimità, il rumore e il calore dell’esistenza”….
ma
….” Attenzione, però, questi bambini io li prendo sul serio. Quella densità colloquiale che fa della vita famigliare il solo mezzo della conoscenza sensibile che racchiuda immancabilmente la meraviglia del cuore”...
forse si è semplicemente
…”una fragile unità circondata da fatti ostili”…
con
…” un senso di pena per noi umani e per lo strano ruolo che ci tocca interpretare all’ interno dei nostri stessi disastri”…
Vita e morte, quella paura che ci sovrasta e ci terrorizza ma inascoltata perché non fa notizia, ostaggi di un terrore pianificato, tabloid che esprimono un lieto fine a sorpresa di eventi apocalittici, un po’ come la nostra mente immersa nell’ immaginario, inventando storie per un pubblico che ascolta rapito, immersi in dejavu come segni evidenti del proprio isolamento, impegnati a confermare le proprie convinzioni.
Una vita che andrebbe vissuta quotidianamente, da condividere con i propri cari, crescendo i figli e facendo lezione agli studenti mentre le paure, in primis quella della morte, non andrebbero represse, perché includenti il senso della vita nella sua circostanziata e nitida fragilità.
In fondo
…” la paura è la consapevolezza di se’ portata a un livello superiore”…
“ Rumore bianco “ ( 1985) è uno splendido affresco con vista sul futuro di una società globalizzata ipertecnologica e omologante pervasa dalle frequenze del rumore bianco in un viaggio iperrealista e allucinogeno che si dibatte tra sogno e realtà, introducendo nell’ asettica quotidianità fuorviante concetti propriamente umani ( paura, morte ) senza una soluzione e una presa di posizione evidenti, lasciando che questo film contraddittorio di storie e di realtà allucinata rappresenti se’ stesso in un futuro aperto a una narrazione da scrivere e in parte già scritta.
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Un romanzo che ho apprezzato molto fino verso l'ultima parte, che invece mi è parsa confusa e caotica : qualche sforbiciata sarebbe stata necessaria.