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Il perfetto romanzo corale americano
«E avrebbe avuto tutto il tempo di ricordare, perché andò di fatto a marcire in caserma. Ricordò che suo padre era solo e si sentiva solo e lo sapeva.»
“La valle dell’Eden” è senza dubbio il testamento spirituale di John Steinbeck ma è anche il romanzo più maturo e più complesso dell’autore. Rappresenta un’opera dell’età adulta che ben si distacca da lavori precedenti quali “Pian della Tortilla” (maggio 1935) o lo stesso “Furore” (1939, che è tra le opere più acclamate del romanziere ma che è anche una delle più impulsive e che arriva a vincolarlo a un’immagine che è solo apparenza oltre a determinare l’immagine di un contesto sociale di poi smentito). A partire dagli anni Trenta e sino ad appunto “La valle dell’Eden” le opere dello scrittore sono incentrate su duplice interesse; da un lato l’osservazione distaccata e scientifica del gruppo (il cd “group man”) e delle sue dinamiche, dall’altro sulla lettura della realtà così com’è e non ancora come potrebbe essere. Steinbeck è stato un autore che apparteneva non a “casi generali” ma alla teoria dei “casi particolari”.
«Adam sapeva, per via degli anni passati nell’esercito, che un uomo che ha paura è un animale pericoloso e, come tutti del resto, aveva paura di quello che le frustate avrebbero fatto al suo corpo e al suo spirito.»
Ma veniamo al testo. “La valle dell’Eden” rappresenta il romanzo americano per eccellenza. Per chi avesse visto anche il film interpretato, tra gli altri, da James Dean, il libro si distanzia sotto molteplici aspetti, in primis già solo per il fatto che la pellicola si basa su un arco storico ben più breve e che riguarda gli anni del primo Novecento, quando i figli di Adam sono già adulti. Al contrario il libro parte dall’Ottocento e riprende il filo dell’ottimismo tipico di Emerson e Whitman. Fa un vero e proprio excursus storico, con tanto di guerra, un’analisi profonda che ci porta a conoscere i primi personaggi e a restare affascinati dalla loro complessità e durezza. Cyrus e Charles rappresentano la durezza e l’asprezza della vita, Adam, al contrario, è un’anima schiacciata e ingenua innanzi alla vita.
Non casuale è anche la scelta della suddivisione dei nomi che rimanda alla Bibbia. Non c’è una visione univoca in merito ma non è un dettaglio che passa inosservato quello che porta a riconoscere nelle iniziali con la “A” i personaggi “buoni” e positivi come Abele e nella “C” i personaggi “cattivi”.
Due le narrazioni che accompagnano lo scritto e a cui ne segue una terza: la storia degli Hamilton, che era la famiglia materna dello scrittore e in cui si intravede lo stesso Steinbeck (da qui il primo artifizio narrativo degno di nota e all’avanguardia per i tempi); la storia della famiglia Trask e infine la terza storia, quella dedicata a Cathy Ames che rappresenta il romanzo gotico nel dramma pastorale ma che è anche, al contempo, il personaggio più complesso, duro, cupo e spietato dell’intero viaggio. La sua figura fa sinceramente male. Ci sono dei passaggi in cui il lettore si interroga sulle sue azioni, i suoi comportamenti. Non vi trova soluzione o spiegazione. Cathy non ha scrupoli come non prova emozioni.
«I pensieri divagavano un poco, perché non si può ricordare l’esatta sensazione del piacere, del dolore, o dell’emozione che ti soffoca.»
Quel che riesce a realizzare Steinbeck in questo romanzo è prima di tutto indagare nei tratti umani più intimi e profondi. Nulla è casuale, nulla è per caso. Se Samuel è il capostipite degli Hamilton che grazie alla sua bontà e integrità morale ma anche saggezza, risveglia Adam e rappresenta una sorta di linea guida per tutti i suoi cari, Kate, quando decide di cambiare nome, è fredda, cinica, crudele, arrivista. Qualunque mezzo è appropriato pur di raggiungere lo scopo. Non si pente delle morti che causa, anzi, ne è fiera e quel sangue versato è solo un tassello ulteriore per un disegno più grande. Lee stesso è un volto che rappresenta l’immigrazione nella realtà della non accettazione e che alla fine, seppur abbia perso le radici non essendo più cinese ma nemmeno americano, trova nella famiglia Trask, la propria famiglia. È un personaggio buono, che resta nelle retrovie ma che si insedia nel lettore. Il suo codino, e il suo successivo essere tagliato, rappresenta uno spartiacque tra prima e dopo, tra radici e loro perdita.
Passano gli anni e con gli anni passano anche le generazioni. Iniziamo lo scritto conoscendo Cyrus e sua moglie, i suoi figli Adam e poi Charles, con l’arrivo in scena di Cathy poi Kate, ci spostiamo lasciando indietro alcuni personaggi e per abbracciarne altri e da qui la storia si evolve su ulteriori binari che si intrecciano e intessono una trama profonda e ricca. Tra buoni propositi, ricchezze, auspici e speranze. Tra esseri umani agli antipodi e la delineazione di un romanzo corale che è fotografia di una società, quella americana in tutte le sue criticità. Ed ancora è un romanzo spirituale ma non in modo assoluto. La spiritualità è un’aura che ruota attorno alle vicende, è presente ma assente, non è univoca ma è discutibile. E chi legge non può esimersi dall’interrogarsi sui tanti parallelismi e sulle molteplici situazioni.
“La valle dell’Eden” è un romanzo stratificato, gestito con maestria, sviluppato con acutezza, strutturato in una complessità voluta ma mai pesante. È un romanzo estremamente godibile, da assaporare un poco alla volta, da vivere. È un libro in cui a parlare sono anime che parlano alle anime. È un libro che chiede di essere letto e che non deve spaventare per la mole, la prosa magnetica ne rende la lettura estremamente fruibile e rispetto a tanti romanzi di Steinbeck lo stile è più morbido, cuneiforme e questo lo rende appetibile a una vasta platea di lettori anche non amanti del narratore.
«E non posso farci niente, ma mi chiedo se percepisci mai che attorno a te c’è qualcosa che ti è invisibile. Sarebbe orribile se tu sapessi che c’è e non riuscissi a vederlo o sentirlo. Questo sì sarebbe orribile.»
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Dell'autore dicordo "Furore" , trascinante romanzo di scrittura quasi epica.