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Gli umani
 
Gli umani 2023-07-24 13:27:16 FrancoAntonio
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FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    24 Luglio, 2023
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Umani = solo primati stupidi e violenti?

Andrew Martin è un professore di matematica dell’Università di Cambridge e, nel suo campo, è un genio. Forse ha risolto uno dei cosiddetti problemi del millennio, la cosiddetta “Ipotesi di Riemann”, che spiegherebbe la distribuzione dei numeri primi e che potrebbe a rivoluzionare l’intera civiltà umana.
In effetti, però, Martin non è più nulla. È stato rapito dagli alieni (i Vonnadoriani) e, subito dopo, ucciso. Questa civiltà di esseri intelligentissimi, immortali, matematici eccelsi e dotati di poteri quasi magici era convinta che la scoperta di Martin mettesse a repentaglio l’intero Universo. Così, dopo aver soppresso il matematico, ha spedito uno di loro sulla Terra sotto le mentite spoglie del morto per cancellare ogni traccia delle ricerche da lui fatte. Però ha commesso alcuni errori, prima di tutto, non ha fornito all’inviato tutte le informazioni necessarie per impersonare Martin e muoversi inosservato sulla Terra.
Il poveretto, perciò, si trova a camminare nudo per la città (ignorando che ciò contrasti con le convenzioni terrestri), attirando su di sé la curiosità dei passanti e le attenzioni delle forze dell’ordine. Ma anche la vita in famiglia non sarà agevole, perché Martin, assorbito totalmente dai suoi studi, era un marito tutt’altro che esemplare (di recente stava pure tradendo la moglie Isobel con una studentessa) e un padre quantomeno assente per il giovane Gulliver. Ma l’alieno non sa quasi nulla di relazioni umane, a parte il fatto che, pare, siano dominate da violenza e istinti primordiali.
Inizialmente, pur trovando schifoso tutto ciò che lo circonda, a partire dagli esseri umani stessi, dai loro cibi e bevande, per finire alle loro abitudini, totalmente incomprensibili e aliene, in vonnadoriano cercherà di adeguarsi per portare a termine la missione che comprende, tra l’altro, l’uccisione di tutti coloro che sono venuti a conoscenza dei risultati raggiunti. Ma, lentamente, quanto inesorabilmente, comincerà ad assimilare la nostra cultura, a provare piacere per la nostra musica, per la poesia e… nell’amore, sino a risolversi a una scelta drastica, per lui, assolutamente illogica e incomprensibile prima, che lo porterà in rotta di collisione con i suoi mandanti.

La letteratura è ricca di esempi nei quali si tenta di analizzare i comportamenti e la natura dell’Umanità per il tramite di un osservatore esterno, sia esso un animale (ovviamente parlante e senziente), un essere meccanico o, appunto, un alieno. In tal modo s’è provato a dare un giudizio obiettivo ed equo, diciamo scientifico, evitando ogni lusinga autoassolutoria, a cui un narratore umano sarebbe indotto in quanto parte dei giudicati. Neppure da specificare che non tutti questi tentativi sono andati a buon fine.
Quando ho preso in mano questo libro mi aspettavo qualcosa di simile a ciò che si legge nel racconto di Robert Sheckley “Viaggio organizzato”, cioè una garbata ironia sulle nostre manie e sulle nostre convenzioni che, per un alieno giunto tra di noi solo parzialmente edotto, dovrebbero apparire singolari e, tal volta, astruse.
L’esordio, con il clone di Andrew Martin che se ne va in giro completamente nudo e cerca di entrare al college “Corpus Christi and the Blessed Virgin Mary” in costume adamitico, dà effettivamente questa sensazione. I suoi approcci con gli umani, il loro cibo, le loro abitudini quotidiane tendono a convincerci di questa impressione iniziale. La lettura risulta quindi divertente e fresca come un lungo aneddoto comico. Aiuta in ciò la brevità dei capitoli (in alcuni casi concentrati in un solo paragrafo, quando non in una sola frase) e lo stile fluente e di facile lettura che non fatica a strappare qualche risata.
Tuttavia il racconto evolve e diventa altro. Innanzi tutto il falso Andrew comincia a mostrarci come le nostre contraddizioni, la nostra fragilità, sia fisica che psicologica, siano, in realtà, i nostri punti di forza, ciò che ci rende unici e che, a dispetto della superiorità intellettuale e cognitiva dei vonnadoriani, ci fa speciali e, sotto molti profili, “meravigliosi”.
Man mano che si procede emerge un ulteriore aspetto, più serio, più sentimentale e, a tratti, più drammatico; vagamente moraleggiante, ammonitorio. Da un lato la voce di Andrew cerca di spingerci ad apprezzare le cose che nella vita umana abbiano effettivamente significato, che ci aiutano a una elevazione spirituale, ma che noi tendiamo a sottovalutare, sopraffatti dall’abitudine; dall’altro ci invita a rifuggire dalle nostre peggiori inclinazioni: la violenza, la presunzione, l’egoismo, l’avidità, e via dicendo, dando la preferenza ad altruismo, generosità, amore. In pratica l’anonimo vonnadoriano che racconta la sua esperienza si trasforma da inconscio esploratore, vagamente stranito e stupito dallo strambo mondo in cui è stato mandato, a predicatore di saggezza e di una morale superiore.
Addirittura, in uno dei capitoli finali, si produce in una sorta di decalogo (peccato che si prolunghi in quasi cento consigli a Gulliver) di comportamenti “buoni e giusti” che un buon umano dovrebbe seguire per dare un senso alla sua breve vita.
Questo secondo aspetto del romanzo risulta meno apprezzabile, un po’ per il tentativo stesso di “montare in cattedra” e fare una lezionicina etica, un po’ perché tende a banalizzare certi concetti e a estrarre una morale non necessariamente condivisa, un po’ per i risvolti eccessivamente sdolcinati e sentimentali che prende, giustificati solo dallo stato psicologico in cui versava l’A. quando scrisse il romanzo che, in postfazione, confessa.
Ammetto che da umano (ancora intriso di primitiva violenza?) non ho apprezzato alcune delle scelte che farà il protagonista; e non tutte le decisioni dei logicissimi Vonnadoriani mi sono apparse così logiche e razionali. Ma questa è solo la mia opinione personale.
In conclusione, “Gli Umani” è un romanzo sorprendente da leggere e da apprezzare per quella abilità di mostrarci privi di quei vestiti psicologici che usiamo abitualmente per celare il nostro vero io.

___________
Due appunti per l’angolo del pignolo sollecitati soprattutto dal vanto che i vonnadoriani fanno di essere i matematici e i fisici più sopraffini.
I terrestri sanno benissimo che l’aria è una miscela composta prevalentemente da ossigeno e azoto e non di idrogeno, come scrive incautamente il nostro narratore vonnadoriano, per il quale la cosa dovrebbe essere ancor più palese.
Inoltre, quando l’alieno spiega a Gulliver dove sia il suo mondo, se, nell’esempio che fa, la Terra-chicco d’uva dista meno di un metro dal Sole-pompelmo, l’arancia-Vonnadoria, non può trovarsi solo in Nuova Zelanda, ma, per rispettare le proporzioni, andrebbe collocata, almeno, su Alpha Centauri se non più distante.

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Uno dei miei libri del cuore. :-)
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