Dettagli Recensione
Padre e figlio alla ricerca di una speranza.
Ho amato molto la trilogia della frontiera di McCarthy, oltre a “Non è un paese per vecchi” ma, inspiegabilmente, non avevo ancora letto quello che è considerato il suo capolavoro: La strada. L’avevo in casa, comprato un po’ di tempo fa e, in “onore” della sua recente scomparsa, l’ho finalmente letto e devo dire che i giudizi della critica, mai come in questo caso, mi trovano perfettamente concorde.
L’oceano come spartiacque, punto di arrivo per il padre, l’inizio di una nuova vita per il ragazzo metaforicamente il fuoco da cui può risorgere la vita (“Perché noi portiamo il fuoco, vero papà?”). Un passaggio di consegne tra un genitore che rappresenta il vecchio mondo spazzato via da un’apocalisse (nucleare?) e il nuovo mondo che il ragazzo può e deve rappresentare. Un monito a non arrendersi mai, un insegnamento a resistere alle avversità, anche a quelle più drammatiche che travalicano ogni immaginazione, un invito alla speranza che un padre trasmette al figlio in un viaggio verso il mare oltre il quale, forse, c’è ancora vita. E l’itinerario per raggiungerlo è “La strada”, da non abbandonare mai. Ci potranno essere deviazioni, imprevisti, rallentamenti ma “La strada” è l’unica certezza per raggiungere l’obiettivo in un mondo che di certezze non ne ha più spazzato via da un evento che ha annientato l’intera umanità: uomini e donne, animali, natura. In una terra popolata solo da morte e distruzione, in cui i pochi sopravvissuti si aggirano come alieni trasformandosi anche in cannibali pur di sopravvivere, padre e figlio si muovono alla disperata ricerca di un orizzonte di vita. Trascinando un malandato carrello di supermercato, simbolo di sopravvivenza perché custode di qualsiasi cosa possa servire per sopravvivere – stracci, qualche coperta, pochi residui alimentari, un camion giocattolo, emblema di un’infanzia negata – il padre cerca di trasmettere al figlio il senso della vita. Il capolavoro di McCarthy ha una potenza narrativa dove ogni parola, ogni frase, ogni dialogo padre-figlio scuote il lettore nel profondo, colpendolo al cuore e allo stomaco. Tanto forte appare la narrazione che lo stesso autore sente il bisogno di staccare ogni frase, ogni periodo con qualche riga in bianco perché se è vero che è difficile staccarsi dalle pagine del racconto è altrettanto vero che tale è l’angoscia che traspare che ogni tanto c’è bisogno di aria, di prendersi una pausa, di respirare. C’è tutta la grande letteratura americana in McCarthy: dalla cruda descrizione della realtà di Steinbeck alla lotta per la sopravvivenza di Hemingway; dalle introspezioni psicologiche di Roth alla violenza che lo stesso McCarthy descrive nella sua trilogia della frontiera o nel romanzo “Non è un paese per vecchi”.
E parafrasando il titolo di quest’ultimo romanzo chi si accinge a leggerlo sappia che La strada “non è un libro per stomaci deboli”.
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