Dettagli Recensione
La grande depressione vista (e vissuta) da un giga
Contiene spoiler.
Il 1929 per Faulkner è un anno cruciale: vengono pubblicati “Sartoris” e “L’urlo e il furore”, scrive “Mentre morivo” (pubblicato l’anno dopo) e, come dice nella sua stessa famosa introduzione al romanzo, riscrive completamente “Santuario” (“…strappai le bozze e riscrissi il libro”). In realtà questa è solo una scusa che Faulkner propina alla sua amata moglie Estelle che aveva tentato il suicidio per i problemi economici in cui versava la coppia e, al tempo stesso, la creazione di un paravento dietro cui nascondere la sua a dir poco pessimistica visione del genere umano. Ambientato negli anni della Grande depressione e del proibizionismo, nel profondo sud della provincia americana tra Mississippi e Missouri, il romanzo non risparmia nessuno dei protagonisti. Tanto violento e crudo da indurre il suo editore Harcourt a rifiutarlo perché “finiremmo tutti e due in prigione”, la vicenda narra, infatti, di una diciassettenne, Temple Drake, che viene lasciata dal suo alcolizzato accompagnatore, il poco più che ventenne Gowan Stevens, in una casa «buia, desolata e meditabonda», in cui si nasconde una distilleria clandestina gestita da una banda di magnaccia e sbandati: Van, Tommy, Goodwin e sua moglie Ruby e, soprattutto, l’impotente Popeye.
«…non più proprio bambina, non ancora donna…Dritta come una freccia nel vestitino succinto…il cappellino spinto all’indietro a sprigionare quel che di licenzioso», Temple sarà l’”oggetto” di una tragica spirale di perversione e morte che coinvolgerà, in un modo o nell’altro, tutti costoro.
Dopo una notte in cui, aiutata da Ruby, deve difendersi da alcuni tentativi di stupro, Temple cade in uno stato quasi catatonico in cui si alternano i peggiori incubi e le più assurde speranze (risvegliarsi nel corpo di un ragazzo). Nel tentativo di sfuggire ai suoi carcerieri si rifugia nel granaio dove incontra gli occhi (“due grumi di gomma”) di Popeye che non esita a stuprarla…con una pannocchia. Dopodiché Popeye la porterà via, ancora in preda a forti emorragie di sangue, segregandola nel bordello di Miss Reba a Memphis.
Nel frattempo si scopre che nella Casa del vecchio francese (così si chiama la fattoria) Tommy è stato ucciso con un colpo di pistola alla fronte. Dell’omicidio verrà accusato l’incolpevole Lee Goodwin che verrà difeso dall’avv. Horace Benbow il quale intuisce che dietro quell’omicidio c’è molto di più. In una narrazione che si fa sempre più cruda, in un’atmosfera sempre più cupa (eccettuate le pagine inziali le scene si susseguono sempre in un interno: la fattoria, la stanza in cui si rinchiude Temple, il bordello, la prigione in cui è rinchiuso Goodwin, la stessa casa dell’avv. Benbow, ecc.), il lettore resta incollato alle pagine avvolto dal ritmo incalzante del romanzo quasi senza fiato fino alla fine.
Non a caso quando il romanzo verrà pubblicato nel ’31 da Jonathan Cape (come già “L’urlo e il furore”) avrà un immediato successo tanto che lo stesso Faulkner, qualche anno dopo, dichiarerà: “Sarò conosciuto sempre come l’uomo della pannocchia”.
Anche se non all’altezza dei suoi due capolavori, in “Santuario” Faulkner esprime tutta la sua esecrazione per l’intera umanità, per la società in cui vive, senza pietà per nessuno: ovviamente non ha pietà per i “cattivi”, il malvagio Popeye o il poco di buono Goodwin, ma non ne ha nemmeno per la disgraziata Ruby ed il suo innocente bambino – tutti e tre periranno in un rogo appiccato dai cittadini “assetati” di giustizia e emblema del disfacimento generale della società – non ne ha per i perbenisti e gli ipocriti (l’odiosa Narcissa, sorella dell’avv. Benbow, l’alcolizzato Gowan, i cittadini di Jefferson e di Oxford), non ne ha per l’idealista, ma stanco e sfiduciato avvocato, non ne ha per corrotti o acquiescenti come il senatore Snopes o il procuratore distrettuale Graham, non ne ha per i vinti come la stessa Temple.
Ma, coerentemente a quanto dichiarato nella citata introduzione, Faulkner, a mio avviso, non mostra pietà nemmeno per gli stessi lettori. Nell’introduzione (presente nell’edizione Adelphi cui faccio riferimento) Faulkner, dopo aver ricordato di lavorare come addetto al rifornimento del carbone, turno di notte, dalle 6 del pomeriggio alle 6 del mattino, dichiara esplicitamente la sua volontà di far soldi senza dover veramente faticare facendo lavori veri; “Cominciai a pensare ai libri come fonte di possibile guadagno, e decisi che tanto valeva guadagnassi qualcosa anch’io. Mi presi un po’ di tempo, meditai su quali cose una persona in Mississippi avrebbe ritenuto delle tendenze attuali, scelsi quella che mi sembrò la risposta giusta, e inventai il racconto più spaventoso che potessi immaginare…Feci un discreto lavoro e spero che lo comprerete e lo direte ai vostri amici, e spero che lo comprino anche loro”.
Nel momento stesso in cui il pubblico ne decreta il successo egli implicitamente li accusa di non capir nulla preferendo un libro che “Secondo me non è un granché, come idea, perché fu concepito unicamente allo scopo di far soldi”, a quelli che poi, solo successivamente, diventeranno i suoi capolavori: “L’urlo e il furore” e “Mentre morivo”.
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