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Dormi come benzodiazepina comanda
Negli ultimi mesi ho sviluppato una teoria del complotto: Feltrinelli si è imposta come linea editoriale di pubblicare unicamente romanzi con protagonisti che io reputo orribili nel migliore dei casi, e da prendere a legnate sui denti nel peggiore. "Il mio anno di riposo e oblio" segue questo trend infelice, raccontandoci la struggente storia di una giovane donna newyorkese -ricca, bella e annoiata- con la quale qualunque lettore più chiaramente legare già dalla prima pagina. Ma forse il problema sono io, con il mio scarso livello di empatia, perché questo titolo è finito anche nella recente classifica dei 100 classici di nuova generazione, stilata però sempre dalla diabolica Feltrinelli.
La trama quasi surreale mi aveva in realtà molto incuriosito: l'anonima protagonista racconta l'anno passato in uno stato semi-comatoso autoindotto, con l'obiettivo di sfuggire ad un'esistenza che non sopporta più: il sonno sarà la sua medicina, ed è certa che a lungo andare la guarirà. Chissà cosa farà succedere Moshfegh con questo materiale originale tra le mani? mi chiedevo; e la risposta sembra essere «tutt’altro», perché il volume non ha un intreccio degno di questo nome, limitando la narrazione a quanto già detto nella sinossi. Il romanzo accantona la trama in favore di un'analisi psicologica dei personaggi, che hanno invariabilmente dei comportamenti abietti e perfino criminali.
La protagonista, i suoi genitori, la sua amica Reva, il suo ex Trevor, la dottoressa (o spacciatrice mancata, a seconda dei punti di vista) Tuttle, la sua vecchia titolare Natasha, l'artista sperimentale che espone nella galleria in cui lavorava Ping Xi, tutti sono deprecabili. Ovviamente questa è una scelta intenzionale dell'autrice, ma trovarmi davanti un simile cast dopo un mese di cast analoghi è stata una batosta: personalmente avrei voluto prendere tutti a sberle per fargli entrare in testa che o si decidevano a risolvere in modo serio i loro problemi, o la smettessero di lamentarsene con la sottoscritta. Come la caratterizzazione, tutti gli altri aspetti del romanzo che ho trovato fastidiosi sono tali di proposito, ad esempio la narrazione caotica in cui abbondano i passaggi repentini da un argomento all'altro -in alcuni casi, all'interno di un singolo paragrafo-, che rendono bene lo stato mentale della narratrice.
Lo stesso senso di sconnessione si prova leggendo i dialoghi: spesso non si capisce quale sia il nesso tra domanda e risposta, e questo riguarda sia la strafattissima protagonista che gli altri personaggi, teoricamente lucidi. Forse però ad infastidirmi di più sono stati i continui tentativi di shockare il lettore, con un inutile abuso di volgarità e comportamenti sopra le righe, con una quasi totale assenza di verosimiglianza che mi ha fatto pensare ad una versione al femminile di Chuck Palahniuk (autore che analogamente vira un po' troppo verso il surreale per i miei gusti), e con un finale sconvolgente. Se a metà libro non hai già capito dove la cara Ottessa stia andando a parare con luoghi e date.
Mi rendo conto che questa non sembra una recensione vera e propria, quanto piuttosto un elenco dei motivi per cui questo libro pur avendo tanti elementi validi mi ha fatta sbuffare e lasciata perplessa come una novella Nazaré Tedesco, e per questo voglio concludere con una nota più dolce. Se è vero che Moshfegh non ha puntato sulla trama, continuo a considerare intrigante la premessa e reputo la svolta legata all'assunzione dell'Infermiterol ben pensata, perché aggiunge un tocco di sorpresa nella storia.
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