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Solitudini incrociate
Reykjavik, nella meravigliosa e misteriosa terra d’ Islanda si vive l’ attesa che qualcosa si smuova da un’ immobilità apparente.
Quattro protagonisti, vite sospese in un’ assenza definitiva, nell’ ansia dell’ adolescenza, nella rassegnazione di chi è giunto a un tempo in cui non si sente più protagonista, nello sguardo di un bambino lasciato alla cura di se’ in un mondo che non concede sconti.
Hanna è una ragazzina che sa di essere troppo magra per la sua età, ma è proprio questa la sua aspirazione, rimandare la vita cercando di sopravvivere sotto la superficie.
Arni si è congedato dall’ufficio tecnico di comunicazione in cui lavorava e ha deciso di prendere l’invalidità, vive solo con il suo cane, infatuato di una donna irraggiungibile, con una testa grande piena di pensieri.
Borghildur e’ sola, quanto ha faticato a credere nell’ amore e, dopo l’ inaspettata morte del compagno Steinn, con il quale avrebbe condiviso la vecchiaia, si sente come un sacco pieno di schegge di vetro, affaticata da ogni parola e da ogni passo ….” in una vita che ti sbrana e intanto ti guarda negli occhi con compassione”….
Aron è un bambino che suscita diffidenza e indifferenza, macchiato dall’ eco di una colpa, con una mamma sempre in ospedale che non riesce a prendersi cura di lui e un padre che non può tenerlo.
Solitudini separate, tronche, abbandonate, diverse e complementari, inciamperanno l’ una nell’ altra, poco da dirsi, ciascuno agganciato al proprio stato di inerzia, a un rimuginio che origina da paura, diffidenza, disamore, mancanza di amore.
Semplici relazioni di vicinanza, incontri casuali, stato di necessità, persone in cui imbattersi quando non se ne sapeva niente, circostanze convergenti in un’ inspiegabile unione di intenti, donandosi alla prospettiva dell’ altro, ridefinendo porzioni di se’, una soggettività rinchiusa in un non senso sollecitata da un soffio rigenerante, una relazione stratificata che abbandona l’ insensatezza.
Ecco una condivisione che ridefinisce i contorni del mondo, risvegliando sentimenti che nei giovani assumono il gusto della condivisione e dell’ esperire, negli adulti la capacità di donarsi restituendo un senso di utilità.
Ecco che i traumi personali rispecchiano e convergono negli bisogni altrui, mentre il dolore ineguagliabile di una perdita concede una pausa e ci si accorge …” che tutti siamo a un capello dalla morte”…, e …” si sta in attesa seduti lì tra il mormorio del fiume e i canti degli uccelli, tra i ruvidi arbusti d’erica e i fiori che appassiscono”…,
Anche la placida terra d’ Islanda può rivelarsi un luogo inospitale, nessuno al riparo dal mondo, la vita soffia impetuosa in una trama inaspettata e rovente che assume forme diverse, condivisa per pochi istanti, un film horror che sa di reale con un epilogo che sarebbe meglio non conoscere fino in fondo.
E in quel momento…
“ Aron e io ci scambiammo una occhiata e per un attimo non fummo quello che eravamo, ma immobili e infiniti come il fondo del mare, o una galassia. Sul tavolo di fronte a noi c’era una tazza piena per metà di caffè nero. Ci versai il latte fino all’ orlo e bevvi un senso di acqua tiepida. L’unico sapore che sentivo era quello delle lacrime che mi si erano piantate in gola”….
Gudrun Eva Minervudottir, una delle più note scrittrici e poetesse islandesi contemporanee, scrive un romanzo dai toni reali con una certa dose di leggerezza, vivacità descrittiva e sottile sarcasmo per riflettere sul senso relazionale, sulla durezza di una vita sospesa e sulle difficoltà di viverla, spingendosi oltre i significati apparenti.
E allora insorgono momenti inaspettati di intimità e di condivisione, il senso si copre di altro, si riesce a indagare con occhi diversi, anche se personali, malinconici, sofferenti, senza speranza, corrosi da assenze ingiustificate, è allora che ci si rende conto di appartenere al mistero di una vita complicata e complessa che non può bastare a se’ stessa.
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Consulto spesso il catalogo Iperborea, essendo un estimatore della letteratura nordica, ma questo libro mi è sfuggito.