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Il soccombente
 
Il soccombente 2023-03-27 06:52:14 68
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68 Opinione inserita da 68    27 Marzo, 2023
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Solitudini diversamente estreme

…”Il soccombente è già stato messo al mondo come soccombente, È stato da sempre il soccombente”….

Tre pianisti e un incontro, un corso con Horowitz frequentato ventotto anni prima, per uno di loro, Glenn Gould, il pianista per eccellenza, naturale inizio di altro, per gli altri l’ abbandono di quello che avrebbe potuto essere un percorso brillante e virtuoso.
Da quel momento la caduta con vista sul precipizio, per Wertheimer un viaggio all’ interno della propria follia con un epilogo brutale ma necessario, per il narratore la rassegnata constatazione di un talento musicale non all’ altezza, per entrambi la certezza che non sarebbero mai stati degli artisti..
Due possibili virtuosi e un genio, loro che avevano ascoltato suonare le variazioni Goldberg nella sublime interpretazione di quell’ americano-canadese, una melodia che reca il timbro dell’ immortalità.
Come accettare e raccontare una vita non vita, fallimenti che attraversano la lenta implosione nelle scienze dello spirito e l’ inizio del proprio intristimento, il filosofo e il soccombente.
Di certo i due rinunciano a suonare il pianoforte perché non posseggono la grandezza di Glenn, ma come arrivare all’ auto annientamento dopo una conoscenza intellettuale basata sulle proprie differenze, benché con la medesima concezione dell’ arte?
Il narratore ricostruisce i fatti ricercandone le cause, ricordi, testimonianze, visite, colloqui, incontri, momenti famigliari, porzioni di vita, ipotesi, un senso claustrobico attraversa il racconto e si fa ossessione protratta, la bussola del tempo sostituta da un’ ossessione altra, l’ impossibilità di vivere il proprio fallimento all’ ombra di chi non ha bisogno di dimostrare, di simulare e dissimulare, del pubblico e del suo consenso, non nasconde fragilità, semplicemente e’.
Là genialità di Glenn Gould si auto rappresenta, un uomo con una grande autodisciplina, contrario alle imprecisioni, fanatico dell’ordine, che detesta quasi tutta l’ umanità non pensante come il suo pubblico e da esso si e’ ritratto trovando riparo fino alla morte in una casa americana in compagnia di Bach, che ama profondamente, la sua fine prematura e naturale si tingerà di beffa, sopraffatto dalla propria arte.
Il narratore e Wertheimer continueranno a frequentare la sua ombra, alimentando un rapporto di odio-amore.
L’ affannosa ricerca di se’ insegue spiegazioni improbabili in tempi e luoghi lontani, tra città e campagna, luoghi insalubri e inospitali, una disperazione che sa d’ infanzia, frammenti esistenziali, implicazioni freudiane, egocentriche, famigliari, gesti improbabili e accusatori, angusti spazi della memoria, inospitali stanze affettive ricolme di solitudine e di lontananza da chi si credeva appartenerci e che ci ha abbandonato per sempre.
La rappresentazione di una vita ( quella di Wertheimer) e l’ impossibilità di viverla, l’ onnipresente fantasma di Gould, interrogativi inquietanti, quanto la sua morte sarà la loro morte, un legame spezzato in un senso apparentemente insensato, è poi certo che siano stati annientati dalla sua figura e dalla sua grandezza?
In un crescendo di ripetizioni e di ossessive presenze, in cui il timbro della penna di Thomas Bernhard e la sua impeccabile costruzione scenica risuonano famigliari, nel tentativo di chiarire ciò che è evidente, si fa manifesto, celato da tracce sempre più evidenti, un senso condiviso di infelicita’ e di insensatezza, e ci si chiede quanto ciascuno rappresenti semplicemente la propria solitudine profonda, nell’arte, nella scrittura, in un ambito famigliare, ma forse, come diceva Glenn, …” siamo semplicemente ciò che siamo”…. era così sin dall’ inizio.
Quale l’ intreccio tra arte e vita, come un’ idea di perfezione può convivere con un’ imperfezione evidente, il senso di finitezza aspirare all’ assoluto in anni che hanno conosciuto l’ inconoscibile?
Impossibile fare chiarezza, indagare su timbri così diversi e complementari, una spiegazione possibile in quell’ inizio, l’ ascolto estasiato e silente dell’ inarrivabile interpretazione delle variazioni Goldberg eseguita da Glenn Gould, quando tutto pareva già scritto.
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Commenti

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Interessante recensione, Gianni.
Anch'io ho apprezzato questo libro, ma il mio Bernhard preferito rimane "Il nipote di Wittgenstein".
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