Dettagli Recensione
Quale felicità?
Relazioni personali, coppie sposate, scoppiate, dissolte, amori fugaci, imprevedibili, sparsi, uomini, donne, figli, amanti, la malattia, fisica, psichica, il dolore, la perdita, il ricordo, le stagioni della vita, la vecchiaia, la morte, l’ idea di fondo che
….” essere felici è un talento e non puoi essere felice in amore se non hai un talento per la felicità”…
Jasmine Reza scandaglia una realtà borghese incentrata sulle proprie pretese di felicità e su quanto esse vadano centellinate in una vita che possa durare.
Intrecci separati e contigui, attori più o meno intimamente connessi, un’idea da presentare all’ altro e da ripetere a se’ stessi, un puzzle scomposto, momenti difficili da definire.
Il costrutto, che vive di monologhi in diciotto brevi capitoli che portano i nomi dei protagonisti, ruota attorno alla figura di Ernest Blot, leggendario patriarca della finanza che sta per lasciare la vita e si interroga sul destino delle proprie ceneri che vorrebbe sparse nelle acque del fiume Braive per ricongiungersi alla figura paterna.
Una coppia che litiga stupidamente in un supermarket per perdersi in un abbraccio notturno, un oncologo impegnato a prolungare la vita che si porta dentro un segreto d’ infanzia, una donna imbattutasi nel ricordo di un inafferrabile amore giovanile, due genitori consumati dal delirio psichico di un figlio che crede di essere una popstar, un uomo da sempre dedito al giuoco d’azzardo, il sottile filo dell’ esistenza a corredo di ogni singola porzione di storia, una costruzione scenica spoglia, essenziale, teatrale, secondo un copione caro all’ autrice.
Nel cuore di un’accurata indagine psicologica tracce di intimità allargate al ricordo e il tentativo di riportarle a una dimensione cosciente.
Porzioni di vita in un mare di storia, la volontà degli uomini di restituirsi al corso del tempo in una discontinuità temporale, la paura dell’ abbandono, il desiderio di raccontare e di raccontarsi, la ricerca di una felicità multiforme, la fine dell’ immaginazione, la costruzione di castelli incantati, tutto è torpore e fraintendimento.
Ci sono matrimoni in cui non si fa niente e non si è niente, amanti pervasi dalla malinconia, c’è chi si danna per animare l’ amore, chi non riesce a farsi comprendere.
Nel mentre gli uomini continuano a vivere in un immobilismo assoluto, ricercano e si accontentano di un porto sicuro ma basta un soffio a renderli vulnerabili, le donne alimentano l’ amore e ne sono sopraffatte, si donano costruendo una trama dettagliata, soccombono al fascino di uomini mascherati.
Non vi è niente di più impenetrabile di una coppia, coppie allontanate dalla propria immaginazione, da una semplice affermazione, circondate a affrante da un passato che le sovrasta mentre attorno tutto svanisce e un senso di ansia e di abbandono le comprende.
“ Felici i felici “ conferma l’ abilità dell’ autrice nel costruire una trama relazionale stratificata, a tratti piuttosto contorta, di non facile definizione, in cui il lettore rischia di perdersi inseguendo un senso impalpabile incentrato sulle molteplici versioni dell’ esperire.
Non resta che affidarsi al fluire del racconto, ai dettagli, agli istanti, a quelle sensazioni che ci accompagnano in una frammentazione che pare dissolversi.
Una domanda identitaria incombe; esiste la felicità e quale senso attribuirle? Di certo non inseguendo fantasmi dispersi nella memoria e reinterpretando idealizzazioni narcisistiche, ma nella consapevolezza di quello che si è e nell’ accettazione di una limitatezza naturale e necessaria….
Indicazioni utili
Commenti
1 risultati - visualizzati 1 - 1 |
Ordina
|
1 risultati - visualizzati 1 - 1 |