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FEDOR E LE NEUROSCIENZE
Con largo anticipo sulle teorie che Freud enuncerà 30 anni dopo, il grande maestro russo sforna negli anni della sua maturità artistica un potente romanzo psicoanalitico di straordinaria originalità e modernità.
L’originalità è già nella struttura del romanzo che, soltanto a prima vista, può apparire squilibrata. Il libro si apre con un lunghissimo prologo che si estende per quasi metà del testo per poi dar spazio alle “memorie” vera e proprie. Il prologo appare come una autentica seduta di autoanalisi in cui scrittore e personaggio narrante si identificano.
Il tema sempre caro a Dostoevskij della contrapposizione tra bene e male, qui si fa assolutamente soggettivo e si colora di un’analisi psicologica senza precedenti. Alla visione positivista dell’uomo artefice del proprio destino e naturalmente guidato dalla razionalità verso il bene suo e del prossimo, Fedor contrappone la sua personale verità di individuo sottoposto a pulsioni recondite ed inconsce, forze naturali che determinano le nostre scelte al di là di ogni ragionamento logico. Solo lo stolto, nella “beata” ignoranza della propria realtà sub-conscia, può illudersi di agire per un bene razionalmente inteso ed in quanto tale collettivo. Paradossalmente soltanto lo stolto potrà “fare cose”, agire, raggiungere l’agognato quanto risibile successo sociale.
L’uomo consapevole invece (e lo scrittore si dichiara tale), vede l’inazione come inevitabile conseguenza della propria irrazionalità. Egli sa’ che per soddisfare il motore primo dell’agire umano, l’inconscio appunto, a nulla serve la “buona opera”. Quel motore, quasi belva famelica, si nutre di sopraffazioni, di vendette, di sgambetti e soprusi, di ogni forma di malignità insomma e trae godimento dal processo più che dal risultato. Nell’incipit del romanzo, il narratore presenta se stesso come “uomo malato … astioso. Un uomo malvagio”, ma senza alcuna condanna moralistica bensì con la consapevolezza del costante prevalere delle forze irrazionali nel proprio agire e con esse del caos rispetto all’ordine, della distruzione rispetto alla costruzione. Va da se’ che l’uomo consapevole sia destinato oltre che ad una inevitabile emarginazione sociale, ad un perenne stato di infelicità e frustrazione rancorosa.
Da qui hanno inizio le Memorie vere e proprie. Siamo in presenza di un anti-eroe ancor più sofferente di quanti, numerosi, popolino lo sconfinato universo Dostoevskiano. Un piccolo impiegatuccio squattrinato, svogliatamente occupato in qualche ganglio della sconfinata macchina burocratica russa, che osserva dal suo “sottosuolo” il ridicolo e meschino affaccendarsi di uomini e donne vacui, non riuscendo peraltro a rimanere indifferente alle regole non scritte di quel mondo futile.
Così, ad un pomposo ufficiale reo di averlo offeso con la sua superba indifferenza, il nostro protagonista non trova di meglio che reagire con una goffa e titubante spallata mentre passeggiava sul Nevskij a Pietroburgo: grottesco atto “rivoluzionario” cui affidare un riscatto che inevitabilmente resta frustrato.
In seguito, incontrati alcuni ex compagni di scuola, avverte un masochistico desiderio di unirsi al gruppo (ancora quel maledetto inconscio!) malgrado il disgusto che in lui suscitano le vanaglorie e le spacconate di quei giovani perfettamente inseriti nella società. Frustrato e deriso da questi, si ritrova a smaltire la sbornia nella stanza di una prostituta. La giovane, con la sua carica di umanità, avrebbe forse potuto aprire uno spiraglio di luce in quella esistenza rancorosa. Eppure il protagonista e narratore, in preda a quella irrequietezza che probabilmente turbava Dostoevskij stesso, non trova di meglio che torturare psicologicamente la ragazza, pentirsene temporaneamente salvo infine cedere a quel piacere assurdo di veder umiliata la povera malcapitata. Il tutto in un angoscioso alternarsi di sentimenti malvagi e benigni estranei a qualsivoglia logica.
Memorie dal sottosuolo è un capolavoro straordinariamente coraggioso e moderno. Lo scrittore non esita a mettersi a nudo in una analisi introspettiva assolutamente senza freni. In queste pagine echeggiano concetti che sembrano preludere alle più recenti scoperte delle neuroscienze.
Commenti
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preso nota della segnalazione ... vorrei solo aver piu' tempo per leggere
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Ti segnalo "Il giardino dei cosacchi" di Brokken, con Dostoevskij protagonista a quel tempo.