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Cioccolato e vecchi merletti
La sua recente scomparsa ha destato impressioni, emozioni e sentimenti vari, magari opposti tra loro, in tutto il mondo. A lungo se ne è parlato, malgrado l’età avanzatissima la sua dipartita ha sorpreso tutti, perché vedete, per generazioni succedutesi negli anni, lei è stata una icona inscalfibile, un vero e proprio testimone dei tempi trascorsi.
Insomma, di eventi in circa un secolo, e che secolo, se ne sono succeduti tanti, veri e propri fatti storici e memorabili che si studiano nelle scuole di ogni ordine e grado, e lei c’era, li ha vissuti tutti, li ha gestiti talora in prima persona, era presente in prima fila. Una presenza rassicurante per il suo popolo, talora controversa, una figura particolare di cui tanto si è detto e di cui ancora tantissimo si dirà e si studierà, lei era la Regina, sapete, non di quella delle fiabe, una sovrana reale, lei era l’Inghilterra.
Parliamo come avrete intuito della Regina Elisabetta II del Regno Unito d’Inghilterra, più precisamente regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e degli altri reami del Commonwealth dal 6 febbraio 1952 all'8 settembre 2022: oltre 70 anni, per cui è stata direttamente o indirettamente testimone di eventi indimenticabili della Storia. Iniziando, giusto per dire, dai conflitti mondiali con le loro conseguenze su genti e territori da lei amministrati, e proseguendo via via con i cambiamenti degli anni ‘60 e ’70, mutamenti epocali tra i quali la devoluzione del potere nel Regno Unito e la decolonizzazione in Africa, poi la guerra nelle Falkland negli anni ’80; ancora, sempre come semplice esempio, ricordiamo che ha assistito alla caduta del Muro di Berlino e al disfacimento del regime comunista sovietico, il sorgere dell’epoca digitale, l’avvento di pc, internet e cellulari, per giungere all’entrata del suo paese nella comunità europea fin dal primo sorgere dell’UE, e finanche alla sua successiva fuoriuscita con la Brexit, fino a giungere ai drammatici recentissimi eventi della pandemia da covid-19, il lockdown e tutto quanto ne è conseguito e tuttora incide sui nostri giorni.
Il tutto, destreggiandosi allo stesso tempo abilmente con le problematiche familiari private, di necessità pubbliche per simili personalità, come valga per tutto l’esempio del disastroso matrimonio del proprio primogenito erede al trono con la principessa Diana, la principessa del popolo amatissima dagli inglesi, scomparsa in drammatiche circostanze in un incidente di enorme impatto emotivo per i suoi sudditi.
Tutto quanto ciò premesso è per dire che “Bournville” di Jonathan Coe né più né meno è, come Elisabetta, un testimone della storia inglese degli ultimi decenni, un romanzo di testimonianza diretta, altamente descrittivo delle emozioni popolari sorte in coincidenza con i fatti più eclatanti della storia inglese.
Questo è un libro dove l’autore assume a modello del suo dire un microcosmo, una comune cittadina della provincia inglese, Bournville appunto, con tanto di classica topografia cristallizzata:
“…un intero villaggio…Case, negozi, una chiesa. La chiesa è l’edificio principale, proprio al centro dell’abitato. Il campanile è così alto…Accanto ci sono il macellaio, il fornaio…il calzolaio…Tutti i negozi sono sulla stessa strada, una lunga via alla fine della quale c’è la piazza del villaggio, con la torre dell’orologio e il palco per la banda.”
Città naturalmente con la topografia per quanto statica tuttavia in evoluzione, come è giusto che sia, per cui i protagonisti stentano a riconoscerla dopo tanto tempo trascorso da quando se ne sono allontanati, come succede a chiunque.
Tutta la cittadinanza, come succede in simili piccole realtà, ruota intorno alle alterne vicende della più importante fonte di reddito del posto, una fabbrica di cioccolato, con i protagonisti che in quella lavorano a vario titolo e ruolo nel corso delle discendenze familiari, e Jonathan Coe ne fa lieto racconto, lo snoda attraverso gli anni seguendo le vicende dei primi attori sulla scena e poi i loro figli e nipoti, quindi è una descrizione attenta dell’evolversi di tradizioni, modi di pensare, di essere, usi e costumi, rivelati proprio dal vivere comune dei vari personaggi. Anche, e soprattutto, della morale corrente, basta vedere come erano ancora visti gli omosessuali appena pochi decenni or sono, detto da voci autorevoli:
“…Gli uomini come quello sono la feccia della feccia. Ricordati solo questo. La feccia della feccia.”
Non a caso il romanzo inizia la sera dei festeggiamenti per la fine dell’ultimo conflitto mondiale, termina ai nostri giorni con la paura del nuovo morbo, le restrizioni e le reclusioni a cui obbliga i protagonisti, fino ad un epilogo placido e naturale, esattamente come è il corso dell’esistenza di ognuno.
Un racconto normale, anche ben scritto, in pure stile britannico, con tanto di atmosfere british stile arsenico e vecchi merletti, anzi più precisamente cioccolato e vecchi merletti. Ecco, forse il limite del romanzo è proprio questo: certamente non è un libro sovranista o nazionalista, tutt’altro, però ha troppo un’impronta locale. Voglio dire, piacerà sicuramente ad un inglese, che ritroverà certamente l’evolversi della mentalità britannica nel corso del tempo, e il che è interessante, attrae, si fa leggere con piacere, ma credo piacerà un po' meno al lettore non anglosassone. Come chi scrive.
Certamente è un testo ironico, piacevole, a tratti divertente, ed è interessante leggere le reazioni e la partecipazione emotiva popolare il giorno dell’incoronazione della Regina Elisabetta II, giusto lei; e poi, la vittoria della nazionale inglese nel campionato mondiale di calcio del 1966, manco a farlo apposta battendo in finale la Germania, acerrima nemica nell’ultimo conflitto mondiale. E poi ancora, il matrimonio tra Carlo e Diana in una atmosfera fiabesca, fantastica, irreale, fuori del tempo, e l’altrettanto grandioso funerale della sfortunata Principessa. Come il ciclo della vita, non a caso ma per precisa e significativa scelta artistica di Coe, il romanzo termina in piena epoca appena post covid nel settantacinquesimo anniversario della fine della guerra, esattamente come il giorno in cui è iniziato.
Un testo che parla dell’Inghilterra, e del suo popolo, abbiamo detto; e però Jonathan Coe è scrittore di razza, in certe pagine riesce a farsi leggere, a farsi apprezzare, da ogni lettore; come, ad esempio, quando racconta dei giorni in cui infuria il Covid:
“…La pandemia, di cui forse stiamo vedendo soltanto gli inizi, ha già creato situazioni di grande crudeltà. Famiglie separate da enormi distanze, impossibilitate a vedersi per molto tempo…E naturalmente milioni di morti improvvise, premature. Milioni di vite spezzate, quando la gente pensava di avere davanti a sé ancora molti anni, forse decenni…”
E poi, con tono sempre più toccante, va oltre, è qui e ora che diviene scrittore universale, perciò di valore:
“…gli ultimi mesi della vita, li abbiamo vissuti attraverso lo schermo di un computer…Questi schermi, queste finestre sono le barriere di vetro, silicone, plastica che la pandemia ha innalzato tra noi. Siamo stati costretti a separarci e a comunicare con modalità che sono solo una pallida imitazione, a volte una parodia, di ciò che è un autentico contatto tra le persone… “
In sintesi, Jonathan Coe in “Bournville” parla della vita, e di noi tutti.
Perché per tutti noi l’esistenza è un mantra:
“Tutto cambia e tutto resta uguale”
Solo che Coe, tra le righe, fa risuonare le prime note di “God save the Queen”, o the King che dir si voglia. Ma non tutti sanno cantarla benissimo quanto un inglese.
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Non ho mai letto il noto autore. Non sono riuscito a capire se si tratti di un grande scrittore o un produttore di libri poco più che 'commerciali'-
Il libro recensito, comunque, non dev'essere certo il testo con cui cominciare .