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L'amante
 
L'amante 2022-12-10 23:04:20 topodibiblioteca
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Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
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4.0
topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    11 Dicembre, 2022
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La potenza della scrittura di Yehoshua

“….e noi nell’ultima guerra abbiamo perso un amante. Avevamo un amante, e da quando è cominciata la guerra non lo si trova più, è sparito”.

Un incipit spiazzante e non immediatamente comprensibile, ma in queste criptiche iniziali parole è nascosta l’essenza di questo piccolo capolavoro dell’autore israeliano A. Yehoshua, pubblicato nella metà degli anni ‘70 ed in cui il richiamo alle vicende della guerra del Kippur è fortemente presente. Tutta la storia si sviluppa nella disperata ricerca di questo “amante”, apparso improvvisamente nell’autofficina di proprietà di Adam, il benestante capofamiglia protagonista di questo libro, nonché principale voce narrante di una vicenda in cui la ricerca di una persona che è diventata l’amante della moglie si delinea nella sua singolarità, svelando contenuti profondi che hanno a che fare con la storia di Israele e le relazioni arabo-israeliane.

La ricchezza del romanzo di Yehoshua risiede innanzitutto nello stile polifonico, nelle tante voci narranti che fanno da corollario a quella di Adam: la figlia, la moglie, il giovane arabo apprendista entrato a lavorare nell’autofficina, Vaduccia, una vecchia signora in fin di vita che aveva perso conoscenza, ma che riesce miracolosamente a recuperare lucidità. Ognuna di queste voci racconta gli avvenimenti che si succedono in una storia in cui la ripetizione degli eventi, narrati dal proprio punto di vista, diventa emblema di un’analisi attenta tanto della storia politica di Israele quanto della propria più stretta intimità, dando vita ad un racconto corale a più dimensioni. Da una parte così, il libro evidenzia le criticità, i forti contrasti, gli stereotipi legati alla difficile convivenza tra ebrei e arabi palestinesi in un paese manifestamente diviso, in cui Na’im, il giovane arabo apprendista nell’officina di Adam riassume sarcasticamente i confini tra due mondi che cercano di convivere ma che fanno fatica ad accettarsi reciprocamente (“Quelli sono gli ebrei che si credono di conoscerci alla perfezione, accidenti a loro. E invece tutto quello che sanno di noi sono le cose che possono riderci dietro, e non hanno nessun rispetto per noi”). Concetti in qualche modo ripresi nei pensieri di Vaduccia, l’anziana donna uscita dal coma che pur provando riconoscenza e dolcezza nei confronti del giovane Na’im, non riesce a rinunciare a quei luoghi comuni che fanno apparire “un arabetto” come un potenziale terrorista da cui prendere le distanze e di cui non potersi fidare ciecamente.

Al di là della dimensione politica, tutte le voci narranti di questo libro sono voci sofferenti, perché ognuna di loro porta dentro i propri drammi interiori, le proprie debolezze, al disopra delle quali aleggia questa figura misteriosa di Gabriel, l’amante scomparso, il cui ritrovamento garantirebbe in qualche modo la risoluzione di diverse inquietudini famigliari. Gabriel nella prosa di Yehoshua appare quasi come il Messia ancora atteso dal popolo ebraico e fortemente cercato tanto dalla nonna Vaduccia, affranta dal dolore per questo nipote che non vedeva da anni e ricomparso in Israele proprio a seguito del suo malessere, quanto da Adam, pervaso dal senso di colpa per averlo spinto a partecipare alla guerra del Kippur e desideroso di ritrovarlo per amore di quella moglie che aveva finalmente ritrovato la gioia di vivere proprio grazie a quell’amante perduto. Gabriel assume i contorni di una figura candida, innocente, che si manifesta in Israele dopo anni trascorsi a Parigi. Innocenza che risulta venire improvvisamente contaminata dalla guerra del Kippur, dalle vicissitudini che lo vedono partecipare passivamente alle sorti di un conflitto che non riesce a comprendere fino in fondo vista la sua assurdità, come ben si intuisce dalla narrazione dello stesso Gabriel.

Ma la poesia dell’autore israeliano si evince proprio in questo frangente, dall’astuto comportamento di un amante forse non più candido come all’inizio del romanzo, ma illuminato dal fatto che la soluzione all’assurdità di una guerra possa scaturire dalla fede, dal rispetto pedissequo della legge e della tradizione ebraica, dal comportamento che qualsiasi ebreo osservante sa di dovere rispettare. Queste sono le pagine in cui emerge la potenza della “scrittura ebraica” di Yehoshua, lo splendore delle descrizioni della città di Gerusalemme, del muro del pianto e dei vicoli dove si respirano i profumi e la fede e soprattutto dove si staglia l’importanza del rispetto della Parola. Sono anche le pagine in cui l’autore tocca il cuore di ogni lettore con un romanticismo che supera le barriere razziali ed in cui si può sognare che l’amore scoppiato tra un’adolescente ebrea ed un giovane arabo possa realmente superare l’odio razziale e le differenze etniche.

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