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Abbacinante. L'ala sinistra
 
Abbacinante. L'ala sinistra 2022-10-31 14:06:10 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    31 Ottobre, 2022
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TRA REALTA' SOGNO E VISIONE

“Forse nel cuore più profondo di questo libro non c’è nient’altro che un urlo giallo, abbacinante, apocalittico...”

Io ritengo che gli scrittori, o gli aspiranti tali, non leggano i libri di Mircea Cartarescu, anzi si guardino scrupolosamente dal farlo. Infatti, se lo facessero, il costante confronto con la prosa tersa e adamantina dello scrittore romeno, la cui bellezza l’aggettivo del titolo di quest’opera è incidentalmente in grado di descrivere alla perfezione, sarebbe così umiliante, così paralizzante, che il mestiere dei narratori, dei romanzieri e dei saggisti subirebbe probabilmente un esodo storico verso altre meno nobili professioni, e le case editrici avrebbero seri problemi a riempire i loro cataloghi, così come le librerie i loro scaffali. Se io dovessi mai accingermi a scrivere un romanzo o – peggio – un’autobiografia, credo che, dopo neppure una pagina, per quanto ambiziosa e stilisticamente raffinata cercasse di essere, scaglierei via la mia penna dalla rabbia, per l’incapacità di eguagliare anche solo per una centesima parte la perfezione ipnotica e visionaria di un qualsiasi periodo preso a caso nelle quasi 500 pagine di “Abbacinante. L’ala sinistra”, prima parte della più ampia trilogia che Cartarescu ha voluto dedicare alla storia della sua vita. Per fortuna io non sono uno scrittore, e gli scrittori – a quanto pare – non leggono Cartarescu… L’autore di Bucarest, la città che fa costantemente da sfondo ai suoi libri, terribilmente realistica eppure al tempo stesso magica e favolosa come la Macondo di Garcia Marquez, è, credo, uno dei segreti meglio custoditi della letteratura contemporanea, almeno in Italia, dove i suoi libri sono stati tradotti con inspiegabile ritardo e pubblicati da una piccolissima casa editrice come Voland. “Abbacinante” è senz’altro uno dei libri più belli e significativi che mi sia stato concesso di leggere negli ultimi anni, e forse solo un paragone quanto mai impegnativo, e a prima vista quasi inconcepibile, come quello con “Alla ricerca del tempo perduto” di Proust può dare l’idea di cosa un lettore è destinato a incontrare quando si accinge ad iniziare la trilogia. Infatti “Abbacinante” è prima di ogni altra cosa un romanzo (anche se parlare di romanzo in questo caso è allo stesso tempo fuorviante e riduttivo) sul tempo e sulla memoria, degno in tutto e per tutto di stare alla pari con la più famosa “Recherche”. Cartarescu si addentra nei ricordi della sua infanzia e della sua adolescenza (“voyeur della mia stessa vita”), e lo fa non tanto per risuscitarlo, come il suo precursore francese, ma al contrario come un necrofilo che perlustri la scena di un delitto, constatando e mettendo a referto soltanto morte e putrefazione. “Quando penso a me stesso in età diverse… è come se parlassi di una lunga serie ininterrotta di morti, di un tunnel di corpi che muoiono uno dentro l’altro”. Come tante matrioske ogni “io” è celato dentro un altro “io”, ognuno gravido di quello che lo ha preceduto, in un’interminabile sequenza che procede verso un nucleo sempre più denso, enigmatico e tenebroso. Cartarescu risale a ritroso gli anni come un salmone, in una fitta nebbia in grado di restituire solo allucinate presenze, immagini deformate che sconfinano sovente in quelle “catacombe dell’immaginario” che sono i sogni e le visioni. Lo scrittore romeno non ricostruisce infatti la propria vita e quella dei suoi genitori come in una classica autobiografia, ma le reinventa completamente, mescolando in maniera sorprendente leggenda e ritratto d’ambiente, delirio e cronaca familiare, mondo onirico e mondo reale (si veda, ad esempio, la descrizione dell’arrivo a Tantava del clan dei Badislav, dalla cui stirpe discende la madre, che nelle mani di Cartarescu diventa una favola pirotecnica, un mito colorato e bizzarro, in cui immagini veterotestamentarie di angeli e demoni si mescolano alla sfrenata e morbosa fantasia di un Bosch). Per Cartarescu sogni e allucinazioni non sono una realtà “altra”, una realtà parallela, in qualche modo alternativa a quella di cui facciamo quotidianamente esperienza con i nostri cinque sensi, ma sono integralmente parte di essa, anzi ne costituiscono l’aspetto più rilevante e significativo. Questa è la principale differenza con Proust, la cui fedele, minuziosa, certosina descrizione del “tempo perduto” aveva l’ambizione non già di mettere in discussione la realtà, ma di annullare ogni distanza tra l’ieri e l’oggi e realizzare, per il tramite dell’opera d’arte, una sorta di eternità, in cui passato, presente e futuro miracolosamente vengono a coincidere. Per Cartarescu invece “la realtà non è che un caso particolare dell’irreale, e noi tutti siamo, per quanto ci paia di sentirci concreti, solo la finzione di chissà quale altro mondo, che ci crea e ci contiene”. E’ verso quest’altro mondo, che intuiamo ma che si nega costantemente ai nostri sensi, che è proiettata la ricerca dell’autore romeno, in una sorta di slancio mistico che è ben diverso dalla “recherche” proustiana, ma anche dalla spiritualità delle religioni monoteistiche moderne. Non c’è nessuna “madeleine” qui ad aiutare Cartarescu (tutt’al più ne rinveniamo una versione deformata e grottesca laddove il protagonista “ricostruisce” sua madre contemplando la sua dentiera nella luce del tramonto), bensì una particolarissima forma di nostalgia, un sentimento indefinibile che “proietta nel passato ciò che intuisce essere il nostro destino e il nostro futuro”, che cerca disperatamente qualcosa senza sapere bene cosa, ma con la certezza che “deve” essere assolutamente trovato. Il passato è lo strumento, la mappa per venire a capo dell’enigma apparentemente insolubile del mondo. L’io non è il punto di arrivo, ma quello di partenza per poter sperare di evadere un giorno in un’altra, superiore dimensione, e ricongiungersi con quell’essere autentico, simile probabilmente a un angelo, che un giorno tutti noi eravamo, prima che il concepimento e la nascita tradissero irreparabilmente (e ci allontanassero definitivamente da) questa perfezione. Il passato è la chiave per giungere a questa rivelazione, e la propria vita trascorsa il libro tra le cui pagine cercare gli oscuri, labili indizi che possano portare a una verità ben più elevata di quella che sperimentiamo ogni giorno nel corso della nostra esistenza. Il punto da cui Cartarescu prende le mosse è forse l’aspetto che più lo avvicina al postmodernismo pynchoniano a cui molti lo hanno accostato. C’è infatti in tutto il romanzo una costante atmosfera di complotto, di cospirazione. La cospirazione però qui non è un escamotage narrativo, o una metafora dell’incomprensibilità, dell’ingovernabilità del mondo, ma è qualcosa di profondo, di ontologico oserei dire. Anche se tutto, dalla penna con cui scrivo queste righe al mal di testa con cui mi sono svegliato stamattina, dalla sveglia che mi ha strappato al sonno al sole che brilla fuori della finestra, cerca di convincerci “che l’esistenza davvero esiste, che il mondo è reale, che viviamo realmente in un mondo autentico”, la verità per Cartarescu è che tutto è clamorosamente falso, per il semplice motivo che noi non apparteniamo a questo mondo. “Il tuo regno non è qui. Devi andartene, trovare il tuo mondo, quello in cui stavi un tempo e del quale, senza saperlo, hai nostalgia. Devi cercare l’uscita, questo è lo scopo della tua vita, la regola del gioco al livello in cui ti trovi. E, in un certo senso, la ricerca è l’uscita.” Siccome non abbiamo bussole, non possediamo strumenti per questa decisiva ricerca, dai cui esiti dipende tutta la nostra vita, dobbiamo affidarci ai sogni, ai riti, alle psicosi, che soli sono in grado di farci intuire la verità, “per speculum in aenigmate”, usando quelle parole di San Paolo che ricorrono spesso nel libro. E’ per questo che sogni, allucinazioni e visioni abbondano in “Abbacinante”, conferendogli quell’inconfondibile carattere mistico e surreale insieme, a metà tra l’Apocalisse di Giovanni e un trip allucinogeno. Ciò spiega anche l’abbondanza di simboli, primo tra tutti quello della farfalla, che è il vero leitmotiv di “Abbacinante” (dalle farfalle giganti sotto al ghiaccio trasparente del Danubio invernale alla macchia a forma di farfalla sul fianco della madre, dalla farfalla che la donna rimasta rinchiusa nell’ascensore tiene in braccio quando Maria e Costel la ritrovano dopo dodici anni alle farfalle che escono dalle lingue delle vergini officianti il rito di fra’ Armando). Gli uomini sono infatti “esseri anfibi, tra cielo e terra”, e una simile condizione è descritta esemplarmente proprio da questo insetto, il quale da insignificante larva, da ripugnante bruco quale inizialmente è, è destinato a trasformarsi in una meravigliosa creatura alata. La memoria è legata a doppio filo a questa metafora, tanto è vero che Cartarescu la definisce “la metamorfosi della mia vita, l’insetto adulto di cui la mia vita è la larva”. Quello che lo scrittore romeno trova più spaventevole nel destino a cui l’uomo è chiamato non è tanto il non-essere, bensì “l’essere senza essere”, vivere cioè invano, senza scopo, senza neppure cercare la via d’uscita, lungi dal trasformarsi in farfalla ma rimanendo nella condizione di un acaro che vive inconsapevolmente sotto la pelle di Dio, ignaro dell’organismo che lo sta ospitando (sarà il tema di “Solenoide”, che sotto molti aspetti appare come una coerente prosecuzione delle tematiche di “Abbacinante”). Compito dello scrittore non è quindi quello di cercare individualmente, egoisticamente questa via d’uscita, ma di suggerire all’umanità qual è il suo destino, far scaturire in tutti la scintilla della nostalgia e disseminare il suo impervio percorso gnoseologico verso la verità, come nella celebre favola, di tante briciole che possano, nell’oscurità, aiutare chiunque a non smarrire la strada. Nella sua accesa e un po’ psicotica fantasia, Cartarescu fa un amplissimo uso di episodi dell’immaginario cristiano arrivando a immaginare la madre (che riveste un ruolo centrale in questa prima parte della trilogia) come una sorta di Madonna (Maria è, non a caso, il diminutivo di Miroara), a cui viene annunciato dalla fantasmatica donna dell’ascensore quel concepimento la cui febbrile e delirante descrizione occuperà l’ultimo capitolo, quello della cerimonia di fra’ Armando, esponente di quella setta di eletti e di predestinati chiamata gli Scienti. Cartarescu sembra dirci che lo scrittore è una sorta di nuovo Messia, e nonostante che nelle sue pagine non vi sia traccia di ironia, nonostante la sua filosofia sfiori continuamente il kitsch e il ridicolo, egli riesce ugualmente a far stare brillantemente in piedi una costruzione esagerata, grottesca e polimorfa e a far convivere insieme riflessione filosofica e spiritualità new age. La memoria è la “quintessenza del sacro”, e il suo vangelo è il libro stesso che l’autore descrive spesso nel suo faticoso farsi e che il lettore si trova ora tra le mani, quel libro che è contemporaneamente enigma e soluzione, medium e rivelazione, libro scritto sulla pelle, da decifrare come un misterioso tatuaggio (si veda il bellissimo episodio di Anka e del tatuaggio-messaggio cifrato che la ragazza ha sul cranio) o uno stereogramma apparentemente incomprensibile. Tutto nell’opera di Cartarescu è intriso di religiosità e misticismo (per inciso, trovo curioso ma nient’affatto casuale il fatto che un simile approccio irrazionalistico e anti-realista appartenga non solo allo scrittore romeno, ma anche a diversi tra i più importanti scrittori est-europei, come Volodine, francese ma di origine russa, o il bulgaro Gospodinov), in una visione sincretista in cui i Veda si mescolano alla Kabbalah, Krishna al Bardo Thodol, i koan ai mandala e i chakhra ai mantra; e poi ancora antroposofia, esoterismo, persino magia e riti voodoo (il simbolo di questo sincretismo è fra’ Armando, il sacerdote di tutte le religioni, che per tre giorni alla settimana fa il prete, per altri due giorni lo stregone, e il tempo restante presta i suoi uffici come imam in una comunità musulmana e come rabbino al tempio ebraico). Realtà fisica e dimensione spirituale sono due aspetti unitari, indistinguibili, che si compenetrano inestricabilmente tra loro, entrambi espressioni di una inafferrabile divinità che si svela e si nasconde in una quarta dimensione, che è il tempo, campo di esplorazione e terreno di ricerca che Cartarescu decide pervicacemente di scandagliare, consapevole che “l’intera nostra vita non è altro che l’ombra che il nostro corpo proietta sul tempo”.
“Abbacinante” è un- romanzo apparentemente disordinato e confuso (lo stesso Cartarescu ne parla, con finta seriosità, come di un “manoscritto senza capo né coda”, di un “libro illeggibile”), ma alla fine, miracolosamente tutto torna. Episodi che sembravano essere stati lasciati in sospeso vengono poi ripresi e portati alla loro naturale conclusione, e concetti che non si sa perché siano stati messi lì dall’autore trovano molte pagine più avanti la loro spiegazione (penso ad esempio al “tikitan”, il favoloso idioma parlato come per gioco, nell’ospedale in cui è ricoverato, dalle due piccole compagne di stanza di Mircea bambino, il quale ritorna nei versi barbarici e incomprensibili pronunciati da fra’ Armando nel corso della sua cerimonia iniziatica). Quello che di primo acchito può sconcertare in “Abbacinante”, oltre al suo surrealismo, è la sua costante mescolanza di reale e di virtuale, che dà origine a vertiginosi paradossi logici. Per Cartarescu, ad esempio, Dio non è Colui-che-è, ma Colui-che-sarà, perché è l’uomo a crearlo per poter essere da lui a sua volta generato. Dio non è morto, come affermava Nietzsche, bensì non è ancora nato. Ribaltando il consueto concetto di causa-effetto, Cartarescu può affermare che “tutti i mondi esistono per venire esistiti” e che “tutti i creatori (anche gli scrittori, aggiungo io) sono le creature delle loro creature [,…] formando una dualità inscindibile”. E’ questo perenne dualismo, che già abbiamo visto a proposito del destino dell’uomo, sospeso tra la condizione di farfalla e quella di acaro, a dare al romanzo un carattere ossimorico, in precario equilibrio tra sublime e volgare, tra sacro e blasfemo, tra paradiso e inferno, tra luce e tenebra, tra materialità e spiritualità. “Abbacinante” è un libro- visionario, psichedelico, anamorfico, eppure straordinariamente ipnotico e affascinante. Opera ambiziosissima, “bigger than life”, romanzo-mondo smisurato e a tratti addirittura eccessivo, a cui non si può non riconoscergli un coraggio titanico e quasi sconsiderato (cosa che lo rende a tratti di non facilissima lettura), “Abbacinante” è anche un testo, come ho già detto all’inizio di questa recensione, dallo stile raffinatissimo. Il suo lessico è quanto mai colto ed erudito, impreziosito dall’uso di termini specialistici (soprattutto scientifici) e sorprendentemente vario (se si potesse contare il numero di vocaboli diversi utilizzati dall’autore in “Abbacinante” verrebbe sicuramente fuori un numero strabiliante, difficilmente eguagliabile). La prosa di Cartarescu è labirintica, vertiginosa: leggere “Abbacinante” è come ammirare la bellezza di una rosa, stupirsi della perfezione dei suoi petali, seguirne le infinite circonvoluzioni fino a rimanerne ipnotizzati, fino a perdersi nel suo interno come dentro a una magia, a un sogno venato di irrealtà. Come ho già accennato più sopra, “Abbacinante” è ricchissimo di simbolismi e di metafore, così come di leitmotiv che chi ha già letto qualche libro di Cartarescu non faticherà a riconoscere. In primo luogo c’è Bucarest, “la mia città, il mio alter ego”, metropoli labirintica, fantasmatica, onirica (tutti gli edifici della città sembrano comunicare tra loro come i sogni, e non è inconsueto per il protagonista percorrere per un tempo indefinito i corridoi di un ospedale prima di trovare la stanza cercata, oppure aggirarsi di notte sulla terrazza di un edificio, a chilometri dalla propria abitazione, e subito dopo, scendendo a rotta di collo le rampe di scale per sfuggire ad una orribile visione, ritrovarsi dopo una decina di piani davanti alla porta di casa) e addirittura “organica” (Mircea la immagina, contemplandola nottetempo dalla finestra della sua stanza, come un impasto di carne e di pietra, di acciaio e di orina, di vertebre e di architravi). Enigmatiche sentinelle della città sono le sue inquietanti statue le quali, quasi fossero dei messaggeri ultraterreni, svelano in maniera iniziatica una realtà nascosta, una dimensione ctonia, in cui la mente umana rischia di perdersi (come nell’episodio in cui Ionel si trova a vagare, quasi levitando, nel mondo sotterraneo, popolato di conturbanti presenze, apertosi con sua somma sorpresa sotto il busto della statua di Puskin). La sfrenata fantasia di Cartarescu è nutrita di numerosi riferimenti culturali e artistici, da Kafka al realismo magico, dal surrealismo bretoniano alle esperienze pittoriche di Monsù Desiderio e di Piranesi, ma tutto è declinato in maniera estremamente originale e inconfondibile. “Abbacinante” è un libro unico, irripetibile, una pietra miliare della letteratura contemporanea in cui il suo autore ha cercato, con una ambizione, una caparbietà e una audacia tali da far restare a bocca aperta per l’ammirazione, “di tornare dove nessuno è mai tornato, di ricordare ciò che nessuno ricorda, di capire ciò che nessun essere umano può capire: chi sono, che cosa sono?”

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Stavo proprio aspettando il tuo commento su questo libro e non avevo dubbi sul fatto che ti sarebbe piaciuto! Sei persino più entusiasta di me! Sarà perché io ho iniziato la Recherche quest'anno ed, essendo Proust infinitamente più conosciuto e chiosato di Cartarescu, ho imparato a cogliere una marea di tematiche che da lettrice senza il faro del De Fallois, del Brugnolo e anche di Piperno (mi manca Debenedetti, argh,) non avrei colto di prima lettura e mi mancano gli altri due libri di Abbacinante per scoprire se ci sono altre importanti tematiche oltre alla memoria, al tempo, il bisogno di sentirsi amati, imbarazzi "etnici"... C'è da sottolineare bene, come hai fatto tu, che Proust ha una visione più diciamo "naturalistica" del romanzo (vedi Balzac), mentre Cartarescu mescola tutto realtà e visione.
Era Candidato per il Nobel, nella rosa c'erano anche Houellebecq e McCarthy.... mille spanne sopra la Ernaux, per carità, ma stavolta sono voluti andare sul pop.

Ho letto la tua analisi con piacere e ammirazione. Grazie Giulio, le tue recensioni e la scelta dei tuoi libri fanno schizzare verso l'alto il fattore qualità qui in community. Complimenti
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kafka62
01 Novembre, 2022
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Grazie Marianna, troppo buona! In effetti, se avessero dato il Nobel a Cartarescu mi sarei meravigliato molto. Troppo visionario per l'Accademia (e troppo poco "politico", anche se negli altri due volumi della Trilogia la Romania di Ceausescu, da quello che mi pare di avere capito, dovrebbe essere più in primo piano). Cartarescu, poi, bisogna leggerlo al buio, senza ausili di sorta, un po' perchè non ha il numero di commentatori del ben più celebre Proust, un po' perchè è talmente personale che ogni lettore, sulla falsariga del principio di indeterminazione di Heisenberg, con la sua lettura influenza il libro e lo rende diverso da quello sperimentato dagli altri lettori. Credo che per il resto della Trilogia seguirò il metodo già utilizzato a suo tempo per Proust: un volume all'anno (che, considerata la mole delle pagine e l'impegno mentale che la lettura richiede, non è comunque poco!). Pertanto, e con la speranza che anche tu vorrai dare seguito a questa meravigliosa esperienza, ci vediamo nel 2023 per il seguito di "Abbacinante" :) Buone letture!
siti
01 Novembre, 2022
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Ciao Giulio,
non spendo una parola di più di quelle dette da Marianna, alle quali non aggiungo niente: bell'impronta filosofica, la si legge in ogni intervento. Confesso di aver iniziato questa lettura su supporto digitale e di averla abbandonata non perché non mi piacesse ma perché non le dedicavo la giusta attenzione: la sua elevata frammentarietà e il suo impianto visionario non aiutano una lettura superficiale. Tutto va ragionato: dall'immagine della farfalla come spiegazione delle parti che compongono il tutto, al bipolarismo spazio- tempo, con vittoria schiacciante della dimensione spaziale in una Bucarest che trascende il noto esperibile dai nostri sensi: le dimensioni del reale e dell'irreale che giganteggiano in una lotta ancestrale, una visione ecologista che ingloba tempo, spazio e percezione cerebrale, la fuggevolezza della nostra comprensione e quindi lo stesso annullamento della nostra entità, non compresa, non conoscibile. L'uomo demiurgo o burattino? Una umanità decadente, su tutto aleggia la pazzia e un "libro illeggibile" a complicarti le cose. Ti cedo qualche mio appunto estemporaneo, privo del tutto di sapere filosofico, giusto così per stimolare il confronto e per richiamarmi alla mente questa lettura sospesa. E forse per aver un incoraggiamento, ero rimasta intrappolata in una sorta di mondo infernale, suburbano e mi stancò non ritrovare l'uscita mentre tutto andava ad affastellarsi sempre più, opprimendomi. Un' ultima nota: a leggerti mi hai richiamato alla mente "Il maestro e Margherita". Ciao.
Giulio, questa tua recensione è un breve saggio critico. Hai destato in me ulteriore curiosità verso questo autore che non ho mai letto ma che tengo d'occhio da tempo.
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kafka62
02 Novembre, 2022
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Ciao Laura, certo che per averlo solo iniziato ci hai riflettuto parecchio sopra! Beh, che dire, se lo avessi finito probabilmente l'impressione della frammentarietà si sarebbe forse attenuata, perchè alla fine, in "Abbacinante", tutto si tiene. Il libro è infatti più organico di quanto si possa inizialmente pensare; anzi, inoltrandosi nell'opera di Cartarescu ci si accorge che i suoi libri girano sempre intorno alle stesse tematiche, pur affrontate sotto prospettive differenti. Certo, non è un libro facile, come non sono mai facili i libri che (da Proust a Lezama Lima a Uwe Johnson) riflettono sul tempo. Secondo un mio modesto parere, si ha più probabilità di amare Cartarescu se si è già avuto modo di apprezzare Kafka, l'esistenzialismo di Camus e il postmodernismo di Pynchon. Poi, ovviamente, c'è da tenere conto che per ogni libro c'è un tempo giusto per leggerlo, e forse per te quel tempo non è ancora arrivato. Un caro saluto e, ovviamente, buone letture!
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kafka62
02 Novembre, 2022
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Grazie Emilio.
Bellissima analisi, Giulio! Chissà se il traduttore avrà avuto modo di leggerla, sarebbe stato fiero e lusingato assieme all'autore, naturalmente. Un'analisi anche impegnativa, come lo è il libro del resto. Nel frattempo hai avuto modo di continuare la trilogia? Io non ancora, sono rimasta ferma a questo primo volume. Un caro saluto.
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