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Nate, Elizabeth e Lesje
Classe 1979, “La vita prima dell’uomo” di Margaret Atwood si ripropone in libreria con una nuova veste grafica edita da Ponte alle Grazie. Al tempo finalista del Premio del Governatore Generale è uno dei romanzi più intimistici e “tranquilli” e meno distopici della narratrice canadese in quanto focalizzato sui rapporti di coppia, i legami coniugali che qui vengono scandagliati ed eviscerati con tutte le loro criticità e problematiche.
Tre i personaggi principali: Nate, Elizabeth e Lesje. Nate ed Elizabeth sono una coppia sposata con due figli il cui matrimonio sta fallendo, si sta sgretolando. Il legame coniugale va avanti e si regge ancora in piedi per inerzia e soprattutto per il “bene” dei figli. Lesje è invece una paleontologa specializzata in ossa di dinosauro. Da qui anche il riferimento al titolo del componimento. È una donna dalla tempra mite, ingenua, che vive in un mondo a sé. L’opera si snoda in capitoli che hanno la capacità di mutare la propria prospettiva per mezzo di queste tre voci parlante. Sono personalità a se stanti ma unite da un legame comune che finisce per intersecarsi e dar vita a una narrazione in cui gli eventi prendono forma, carattere, spunto e struttura dal punto di vista soggettivo di ogni voce. Questo può anche disattendere e rendere più lenta la lettura poiché pone il lettore in una costante situazione di cambiamento che rende nel complesso la struttura più fragile e meno lineare.
Elizabeth e Lesje lavorano presso lo stesso museo, Nate vive realizzando giocattoli in legno dopo aver abbandonato il percorso giuridico di avvocato. Conosciamo una Elizabeth che si sta riprendendo dal suicidio dell’amante Chris, collega di lavoro, e Nate che sta per porre fine a una relazione extraconiugale con Martha. Lesje vive invece con William. Vi sarà un’evoluzione che vedrà unire Lesje e Nate, un mutamento di prospettiva lavorativa con anche un ritorno alla carriera legale dell’uomo ma a far da sfondo e colonna portante è l’insoddisfazione.
Ed è questo il vero fulcro dell’opera: l’insoddisfazione. Per quanto muti la prospettiva, cambino le strade, i personaggi si rimettano in gioco intrattenendo nuove relazioni e intraprendendo nuove occasioni, nessuno è davvero felice. Nessuno riesce davvero a sentirsi appagato. E non è questo, forse, un po’ quello che spesso proviamo nel nostro quotidiano? Quali sono le ragioni che potrebbero portare a questo senso costante di insoddisfazione? Vi è modo di sopperirvi?
Una narrazione come sempre in perfetto stile Atwood, acuta e ironica, tagliente e diretta nel suo delinearsi. Da ricordare che non mancano anche i riferimenti alla vita personale dell’autrice in particolare proprio sul marito. Non forse il romanzo più avvincente della romanziera per connotati e caratteri ma da leggere se si è interessati a temi quali le riflessioni affettive, i legami umani, le disillusioni, i rapporti coniugali e se si amano le opere con connotato della finction.
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grazie a questa recensione mi hai fatto venire voglia di leggere questo libro... anche se sembra avere un fondo di profonda tristezza:
"Nessuno riesce davvero a sentirsi appagato. E non è questo, forse, un po’ quello che spesso proviamo nel nostro quotidiano? ... Quali sono le ragioni che potrebbero portare a questo senso costante di insoddisfazione? Vi è modo di sopperirvi?"...
Il vissuto quotidiano, il lavoro, i problemi spesso ci schiacciano ci opprimono, a volte però leggere o sentire che non siamo gli unici ad essere "ingrigiti" ci solleva un po'...
Una domanda che non centra nulla, tu quanti libri leggi? Sono stato lontano da questo sito per un paio di anni ed ora ti trovo in cima alla classifica dei recensori... 1342 io non penso di arrivarci in tutta la mia vita... Complimenti sinceri!
Parti dal presupposto che io non guardo TV e non riesco a staccarmi dai libri praticamente mai, mettici anche che sono in una fase di blocco da circa un annetto - non dal leggere ma dal cosa leggere - ma in media mi attesto sopra i 200 libri. Lo scorso anno ho chiuso con 208 libri. Se non supero i 200 comunque chiudo sui 198. Ho l'abitudine di annotarli anno per anno sulla mia agendina personale per annotare il mio percorso annuale di lettura, vedere se sono cresciuta, cosa ho letto, un modo un po' di prendere consapevolezza. A fine anno faccio una sorta di bilancio di letture e mi chiedo anche cosa ho imparato. Ogni anno ho anche il mio libro dell'anno (esempio, nel 2021 è stato "I miei stupidi intenti" di Zannone). Dal 2014 che mi sono iscritta qui ad oggi ho notevolmente aumentato il numero di letture ma sono diventata anche più selettiva e ho puntato anche a testi di maggiore corpo. Altra cosa di cui mi sono resa conto grazie alle annotazioni. Prima leggevo sempre tanto ma non scrivendone anche non mi rendevo conto di quanto leggessi. Scriverne non è solo terapeutico ma anche un modo per analizzare davvero il titolo. Dopo che ne ho scritto mi rendo conto davvero di tutti gli aspetti della lettura.
Scusami, mi sono dilungata un po'. :-)
Ho un quaderno (lo chiamo il "libro dei libri") su cui scrivo: titolo, autore, numero pagine, anno di lettura, un veloce commento ed un voto in asterischi rossi che va da 1 a 10... Spesso però mi piace esagerare e di asterischi rossi ne metto 11.. 12... 13...
Scrivere queste cose mi serve anche per "chiudere il rapporto" con il libro che ho appena finito... Mi da un senso di "compiutezza"... Solo così riesco a staccarmene e cominciarne un altro... Io però sono bello strano...
Inoltre leggo mooooooooolto meno di te, prima di diventare papà potevo anche leggere 22/26 libri all'anno. Oggi invece faccio fatica ad arrivare a 12/14...
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