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Solitudini condivise
L’ unione di due solitudini, accomunate da un personale senso di inadeguatezza e dalle imprevedibili circostanze della vita, può generare un rapporto unico, inaspettato, profondo, riflettendo su una vita che avrebbe potuto essere altro.
Arthur Opp, ex professore universitario imprigionato nella propria obesità, da anni incarceratosi nella sua casa di Brooklyn tra montagne di cibo e di rimpianti, attesa, ricordi, una sola certezza, la propria corrispondenza epistolare con una ex allieva, Charlene Keller, come lui anima fragilmente implosa che vorrebbe affidargli le sorti del figlio.
Un rapporto durato solo alcuni mesi e una corrispondenza epistolare di diciotto anni, Arthur e Charlene hanno un legame unico impossibile da spiegare, è stato così sin dall’ inizio, lui si specchia in lei, nella sua solitudine e goffaggine, nel suo essere sempre fuori posto, tanti i sentimenti condivisi.
Entrambi sopravvivono nascosti nelle proprie case, pensando che tutto avrebbe potuto essere diverso, in fondo che cosa li ha uniti se non la certezza di assomigliarsi.
Il peso è una insostenibile menomazione fisica e un fardello, l’ impossibilità di calarsi nel reale, di esporsi a una vita sottratta ai propri affetti più cari, un ripiegamento necessario quando nessuno si è preso cura di noi ne’ viene a cercarci, allora si è invisibili, in primis a se stessi, sentendosi inadeguati.
Tutto crolla per assestarsi in una condizione di normale anormalità, una zona di comfort che nasconde l’ impossibilità di aprirsi, condividere, esporsi, uno status che progressivamente ha cancellato ogni contatto con il reale, una pigrizia dell’ animo che è rifiuto di se’ e rifugio dalla sofferenza.
In fondo Arthur non è che una delle tante persone sole al mondo, negli otto anni di eremitaggio ha trovato consolazione nel cibo e nell’ idea di avere una superanima fatta di solitudine, collegata con tutte le altre persone sole, un che di romantico e nobile che ha trovato uno scopo nella solitudine, indispensabile per non morire.
Come è potuto accadere, prima di tutto quanto, prima che Marta, la sua più cara amica, morisse, quando ancora insegnava, quand’era bambino, quando non era ancora nato, un destino segnato dalla solitudine.
C’è sempre un brandello di vita, qualcuno o qualcosa a scuotere il proprio stato di inerzia, un figlio che si è sempre occupato di una madre depressa e in difficoltà ma che deve pensare anche al proprio futuro, una ragazza che improvvisamente entra nella propria casa accendendone la speranza, la vita non concede sconti, e non tutti trovano la forza di resistere, di reagire, di rimettersi in gioco, di fidarsi e di affidarsi. E allora…
…Che cosa accadrà ora, mi sono chiesto. Ma ero solo e ho scoperto di non avere una risposta….
“ Il peso “ è un romanzo che percorre e sosta in un luogo di fragilità, fisica e psicologica, dando voce a chi solitamente voce non ha, inseguendo un senso o semplicemente una traccia di vite vissute all’ ombra di se’.
Solitudine, termine dalle molteplici sfaccettature, sinonimo di sconfitta, rassegnazione, ripiegamento necessario per tirare avanti e sopportare, ma anche di desiderio, possibilità di scelta, riflessione, senso di appagamento.
C’è’ una solitudine che scruta la profondità e genera unicità, che si nutre di attesa e silenzio, che riscopre e valuta il vero senso dell’ essere, inserita nel proprio io più profondo, somma ed esito di quello che è stato.
C’è, viceversa, una solitudine espressione di dolore e sofferenza, senso di inadeguatezza, fuga dal mondo, che si costruisce un microcosmo di placida sopravvivenza, sconfinando in una patologica rappresentazione, per sprigionare un dolore insopportabile e ormai fuori controllo.
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