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Quando una storia incontra la Storia
Cosa accade quando una donna che ha fatto la Storia ma che forse non l’ha vissuta, incontra le persone che dalla Storia si sono fatti travolgere e l’hanno scritta? Potrebbe forse accadere che quella donna, che nel nostro caso altri non è che la Regina Elisabetta II, prenda coscienza del suo ruolo come semplice attrice di uno spettacolo, comparsa di un eterno cerimoniale il cui scopo dovrebbe essere quello di rassicurare il popolo. Ecco allora che la Sovrana lettrice diventa un romanzo in cui un personaggio, a tutti gli effetti reale, potrebbe aver detto o pensato cose che, a causa del suo ruolo, si è sempre trovata a dover negare a tutti. Forse anche a se stessa.
Pochi sono in grado di confermare o meno l’amore di Sua Maestà per la lettura (tra le poche certezze ci sarebbe, come sempre il condizionale è d’obbligo, una simpatia per i gialli di Agatha Christie). Ma a prescindere da questo, l’Elizabeth di Bennet, non potrà mai essere quella reale, in virtù proprio della punta di diamante di tutto il libro: la battuta finale. La stessa battuta di fronte alla quale il lettore, che finora avrebbe potuto prendere per reale tutta la narrazione, capisce che si tratta di finzione. Nulla, infatti, è più lontano, e lo è stato per 70 anni, dalle intenzioni della reale Elisabetta II. Ed è perciò proprio in questo punto che il personaggio rivela la sua finzione. Indubbiamente sarcastica, la Regina, quella vera, avrebbe potuto pronunciare quella frase con il solo scopo di sorprendere e stupire i suoi ospiti. Magari per far sudare freddo uno dei 15 Primi Ministri da lei nominati durante il suo lungo regno.
Ed è proprio da questo punto che ci si può ricollegare, con raziocinio, al gioco di specchi e al paradosso all’interno dei quali, come detto, il lettore non riesce più a distinguere la finzione (gusti letterari, presenza più o meno gradita di valletti, scambi di osservazioni e critiche letterarie con i Primi Ministri) dalla realtà (incontri politici, discorsi, fatti storici tra l’altro solo accennati). I due binari della Storia (vera) e della storia (narrata) si intersecano continuamente per poi dare l’unica certezza solo alla fine. Letteralmente.
Come sappiamo la Regina ha voluto mantenere la parola data al suo popolo, ovvero quella di restare sempre al servizio della Corona, fino alla fine dei suoi giorni. L’abdicazione, infatti, non è mai rientrata nella sua logica ma è stato proprio per questo che Elisabetta II è stata una persona che c’era come istituzione. Ma che non c’è mai stata come persona. Questo perché al di là del suo ruolo non si sa praticamente nulla, d certo,su di lei. Sempre nascosta dai “si dice”, ogni notizia che filtrava, e che rasentava la semplice curiosità, come ad esempio il contenuto della sua borsetta, è sempre stata fornita dalle famose “fonti di palazzo”, puntualmente anonime. Nessun giudizio, nessuna opinione, nessun intervento oltre il cerimoniale.
Elisabetta II ha rappresentato un mondo che per i giovani contemporanei e ancora di più per le future generazioni, resterà sempre incomprensibile perché ritratto di una serie di valori, insegnamenti e priorità ricevuti dal passato. Una Regina che, come nella Storia, è sempre stata un simbolo e non una persona. Ogni suddito, perciò, ha sempre avuto il diritto di immaginare Lilibeth (e non la Regina) come preferiva. Un doppio binario che l’8 settembre si è interrotto. Elisabetta II è per sempre, Lilibeth non è più.
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