Dettagli Recensione
Tra il nebuloso e vago ma non concreto
Peter Handke è uno scrittore molto particolare. Da sempre i suoi titoli sanno essere esperimento e introspezione e sono dei viaggi. Viaggi veri e propri che accompagnano il lettore anche con una componente intuitiva più che narrata stante che al conoscitore è appunto indicata una via che sarà poi lui a scegliere o meno di intraprendere, interpretare e perseguire. Lo stesso vale per quest’ultima fatica dal titolo “In una notte buia uscii dalla mia casa silenziosa” ove a essere posto in essere è letteralmente un viaggio che prende campo e forma da un’esperienza misteriosa. Chissà, forse, addirittura solo immaginata. Un colpo. Un bosco. Un farmacista, Taxham. Un uomo d’altri tempi, un uomo che ancora si dedica alla preparazione dei farmaci in modo artigianale, con la cura e la dedizione di un tempo, con la passione e la calma del chi cerca il miglior rimedio per il proprio paziente. È inoltre un ottimo conoscitore di funghi. È lui ad essere destinatario di un accadimento che trova le sue radici nel mondo contemporaneo ma che eppure si sposta in quella che è l’assenza di ogni logica o schema.
Al lettore viene chiesto proprio questo: di viaggiare. Viaggiare cercando e seguendo le tracce del protagonista, del suo vagabondare per le città e steppe, alla ricerca di una figlia ma anche di una e più identità perdute. Una storia, si direbbe, nella storia in cui ogni personaggio è “usato” come voce per narrare di un’altra storia e di altre origini che finiscono con lo scontrarsi con il tempo e la realtà. Il lettore “perde se stesso” e viaggia al “fine di ritrovarlo”. Il tutto affrontando quelle domande ataviche che da sempre assillano l’uomo, a cui da sempre quest’ultimo cerca di dare risposta. Ma è possibile trovare davvero tutte le risposte alle proprie domande?
È un’idea originale quella proposta da Peter Handke tra le pagine di “In una notte buia uscii dalla mia casa silenziosa” ma è anche un’idea che fatica a calzare e a trasportare. La trama è altresì altrettanto originale, le ambientazioni non mancano ma il tutto è estremamente nebuloso. Il lettore ha la sensazione di trovarsi in un viaggio della mente, non si stupisce che il racconto sia in buona parte sfocato, che sia anche una scelta volontaria dello scrittore. Il problema è che in tutta questa vaghezza, in questa nebulosità, in questa dimensione mai a fuoco ma sempre sfuocata, il lettore fatica a lasciarsi trattenere e appassionare. La stessa scrittura è fredda, gelida. Distrae, non trattiene. La narrazione non segue un filo unico e lineare e questo può far perdere di intensità a chi cerca titoli invece che seguano una retta ben definita. Lascia la sensazione di non aver davvero capito. La lettura perde di mordente, la vicenda sembra non evolversi mai, questo rischia di far perdere di interesse e lascia un senso di freddo e amarezza nei confronti del conoscitore. Non per tutti. Una lettura che si presta a chi predilige i titoli di questo tipo ma non anche a chi invece desidera scritture con cui confrontarsi, da cui trattare ispirazione e insegnamento, da cui trarre beneficio e arricchimento seguendo però una vicenda che nasce, si sviluppa e raggiunge un epilogo concreto. Ecco, questo titolo è adatto a chi non cerca necessariamente il concreto.
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Allora, come anche in "La seconda spada" e "La notte della Morava", che premetto avermi incuriosito entrambi per la trama, non sono riuscita a lasciarmi trascinare perché il tratto del distacco prevale su quello dell'emozione ma non tanto dal punto di vista del contenuto o solo questo quanto proprio per struttura e come arrivano. Nel concreto le sue opere sono stilisticamente pregiate ma anche autoreferenziali. I disegni che crea spesso fini a se stessi. In questo caso è tutto molto vago e vacuo. Un po' come un sogno. Ho letto tanti libri con questa struttura, da Tabucchi e Pessoa ma francamente non riesce a trattenere. Queste almeno le mie modeste impressioni. Probabilmente è anche un autore non molto nelle mie corde ma la trama non riesce a farla evolvere al 100%, il lettore si stanca, si fa tante domande sul dove voglia andare a parare senza trovare un perché. Non arriva nemmeno a porsi il problema di aver avuto la sensazione di non aver afferrato qualcosa perché il rischio cui va incontro l'autore è un lettore che abbandona prima. Nel mio caso, ho concluso la lettura ma è rimasta come un qualcosa di fine a se stesso e con un potenziale, purtroppo, non ben sviluppato.
Questo il mio parere, certamente a te darà molte più emozioni e conquisterà. Ricordo ancora i titoli di Tabucchi dedicati al sogno e allo stesso Pessoa e con quanta passione li ho apprezzati. Il bello della lettura è anche questo!
Beh Maria nei libri come per tutto sui gusti non si discute, ma ci si può sempre confrontare!
Non significa affatto che escluda questo scrittore tra le possibili letture. E non intendo dire che sia un autore di poco valore, assolutamente. Ma, ecco, mi aspettavo di più (le aspettative erano ovviamente, molto alte).
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Fino ad adesso mi sono piaciuti tutti i libri che sono riuscita a leggere, “La ladra di frutta” mi è rimasta nel cuore, ci sono dei passaggi straordinari che vado di tanto in tanto a rileggere, però lo stile è quello, quindi mi sa che non ti piacerà neppure quella…Handke è così, deve lasciarti con la sensazione di non aver afferrato qualcosa.
Per certi versi mi ricorda Oe Kenzaburo, è quasi autoreferenziale (alias solo lui si capisce!) ;)