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Il giusto valore di una società antivalore
Non è così scontato parlare di un romanzo quale “La cena” di Herman Kosch. Premesso che man mano che la storia va avanti più sembra di vivere un fatto di cronaca quotidiana e di attualità, nonostante il titolo sia stato pubblicato per la prima volta nel 2009 in Olanda, l’autore riesce a scuotere le corde del lettore con sincera durezza e crudezza partendo da semplici ma fondamentali assunti.
Immaginiamo di avere un figlio. Chissà, qualcuno di noi già lo ha, altri lo desiderano. Immaginiamo che questo figlio sia un ragazzo di buona famiglia. Immaginiamo che sia andato a una festa con il fratellastro adottivo e il cugino. Consideriamo anche i soprannomi che si danno tra cugini e che già di base esprimono una forma di razzismo sotteso per le origini di colui che è stato adottato sempre per buona parvenza della famiglia, si ricordi, con padre in politica. Immaginiamo che questo figlio abbia barbaramente ucciso una senzatetto solo perché “puzzava” con i suoi rifiuti alimentari, solo perché il suo corpo era d’intralcio al prelievo di uno sportello bancomat necessario per prelevare qualche banconota per comprare l’ennesima birra della serata. Serata in cui anche il cugino che generalmente non beve si è scolato qualche alcolico. Immaginiamo che quanto occorso sia trasmesso prima in un programma televisivo, poi duplicato su internet. Il figlio in questione è altamente riconoscibile per il padre o la madre, forse un po’ meno per uno sconosciuto. Il figlio, di buona famiglia, calmo e dedito allo studio è lì che sghignazza senza problemi mentre getta su un corpo inerme tutto quel che trova. Ecco, se quel figlio fosse il nostro, come reagiremmo?
Due coppie di genitori. Cosa fare? Come comportarsi? Una cena in cui parlare e trattare. Una cena in cui decidere del da farsi e agire. Frasi brevi, dialoghi pungenti, analisi dettagliata del fatto e misfatto. Uno scritto che si muove piano, con un incedere lento e cadenzato che può far sorgere dubbi nel lettore ma che poi accelera e conduce per mano sino a quel che è stato e quel che è. Cosa è giusto, cosa è sbagliato? Cosa è bene che prevalga, la morale a favore di una vita giunta al suo termine per violenza altrui o la parvenza di un ruolo, di una “buona famiglia” che deve andare avanti nella sua scalata sociale e che non può certo perdere il suo ruolo e prestigio a causa di una senzatetto che già di per sé sarebbe deprecabile per vivere a danno dello Stato e che si è trovata al posto sbagliato nel momento sbagliato ostacolando dei giovani alticci?
Ma attenzione perché quel che qui più colpisce non è tanto e solo il fatto che accade quanto la psicologia dei personaggi, i rispettivi pensieri, i comportamenti e ancor più le rispettive decisioni. Tante le tematiche trattate che oscillano dall’educazione dei figli, la responsabilità dei giovani, le azioni, il rapporto tra fratelli, il razzismo, il razzismo tra fratelli, le gelosie e le invidie tra questi, il perbenismo sociale, le apparenze, le istituzioni, il futuro, il successo, il cosa si è disposti a fare pur di raggiungerlo, la diversità, la falsità del buon viso a cattivo gioco e tanto altro ancora. Un romanzo corposo, complesso, che scuote e resta. Lascia letteralmente il segno. Un titolo che smuove nel lettore molteplici riflessioni, che porta a immedesimarsi e anche a porsi domande sul come avremmo agito al posto dei soggetti interessati ma che fanno anche riflettere su quelli che sono i principi e i meccanismi mentali che ne regolano le sorti, le azioni, i giochi di potere, le volontà differenti e presunte. Un libro, ancora, di grande attualità e che perfettamente fotografa la nostra società. Da leggere.
«Più testimoni ci sono, meglio è. L’infelicità è costantemente alla ricerca di compagnia. L’infelicità non tollera il silenzio, specialmente quei silenzi imbarazzati che cadono quando si è soli.»
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Un caro saluto
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