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La vita di Gauguin secondo Maugham
“Le ripeto che devo dipingere. Non posso farci niente. Quando uno cade in acqua non importa come nuota, se bene o male: o nuota o annega.”
In estrema sintesi questo è il pensiero di Charles Strickland, nome coniato dall’autore per narrare in forma romanzata la vita di Paul Gauguin, il celebre pittore post impressionista. Lo Strickland-Gauguin tratteggiato da Maugham (per scherzarci si potrebbe forse usare anche il verbo dipinto) ci viene descritto come un uomo cinico, sprezzante, al limite della disumanità ed estremamente egoista. Persona senza scrupoli che per soddisfare il suo desiderio di dipingere abbandona improvvisamente moglie e figli e scappa prima a Parigi e poi in Polinesia, a Thaiti pur di dare sfogo a questa necessità. Termine quanto mai appropriato perché l’artista che ci viene rappresentato è un uomo che ha bisogno di dipingere come se dovesse respirare, (“Sembrava davvero posseduto da un demone, che potesse a un tratto rivoltarglisi contro e farlo a brani”).
Indiscusso merito della raffinata penna dello scrittore inglese è quello di scavare in profondità nell’animo di Strickland, evidenziandone la forte dicotomia: da una parte un uomo con evidenti limiti umani, che presenta un’assoluta mancanza di rispetto verso gli altri, che prova piacere a dileggiare ed insultare chi gli sta vicino, perfino a sottrarre la moglie ad uno sfortunato pittore che lo aiuta in un momento di difficoltà. Dall’altra un artista dotato di un talento incompreso fino alla morte, alla perenne ricerca di “qualcosa che avesse significato per lui. Era come se avesse acquistato coscienza dell’anima dell’universo e si sentisse costretto ad esprimerla”.
Maugham di certo non annoia il lettore, scrive una biografia romanzata nella quale fonde verità è finzione, narrando in prima persona, entrando direttamente nella vita dell’artista e delle persone con cui egli interagisce. Non si dimostra certo tenero nei confronti di Strickland-Gauguin, prova fastidio e talvolta disprezzo nell’accostarsi a lui ma celebra inequivocabilmente il talento sopraffino ed eterno, riconoscendo nei suoi quadri “l’uomo nella nudità dei suoi istinti primordiali, e ti faceva paura, perché vedevi te stesso”.
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La scrittura dell'autore mi piace molto, nonostante la grossa delusione avuta da "Il velo dissolto".