Dettagli Recensione
Una immagine diversa di Israele
Il primo suggerimento che mi viene in mente è: se iniziate questo libro fatelo avendo tempo a disposizione perché una volta cominciato sarà difficile interromperne la lettura. La Gundar-Goshen si inserisce a pieno titolo tra i nuovi talentuosi scrittori israeliani (Nevo, Keret, Baram…) eredi della vasta tradizione che fa capo ai grandi Agnon, Grossman, Oz, Yehoshua. SVEGLIARE I LEONI è il suo secondo romanzo e nel rapporto che si instaura tra i diversi (pochi) protagonisti principali emerge pienamente il suo retaggio culturale; l’autrice, infatti, è laureata in psicologia clinica all’Università di Tel Aviv. Non a caso il libro vive più di “pensieri” che attraversano la mente dei singoli attori che non di dialoghi realmente espressi in un rapporto dialettico tra gli stessi. Il dott. Eitan Green, brillante quarantenne neurochirurgo, vorrebbe denunciare il professor Zakai – suo maestro e nume tutelare – dopo aver scoperto che costui è incline a prendere “bustarelle”. Anche su consiglio della moglie Liat – ispettore di polizia e splendida donna – Eitan preferisce lasciare l’Università di Tel Aviv ed esiliarsi all’ospedale di Beer Sheva. Nonostante la delusione, la frustrazione di vivere in una “polverosa” ed arida città del sud di Israele la vita del dott. Green va avanti grazie all’amore per la famiglia (con Liat hanno 2 figli) e con la totale dedizione al lavoro. Ma, primo colpo di scena, una sera, durante il rientro a casa dopo una intensa giornata di lavoro Eitan, correndo a forte velocità con la jeep regalatagli da Liat, investe e uccide un eritreo, Assum. Preso dal panico fugge senza prestare soccorso anche perché, da medico, ritiene che non ci siano più speranze di salvare l’eritreo investito (vero? Una scusa raccontata a sé stesso?). Nonostante i sensi di colpa l’incidente potrebbe anche essere “dimenticato” se non ci fosse il secondo colpo di scena: la mattina seguente una bellissima donna eritrea – Sirkit – bussa alla sua porta restituendogli il portafoglio che ad Eitan era caduto sul luogo dell’incidente. Sirkit, che poi si rivela essere la moglie di Assum, prende a ricattare Eitan ma, contrariamente a quanto si può immaginare, non chiedendogli soldi ma imponendogli di curare la sua gente quasi sempre clandestini entrati illegalmente in Israele. La vita di Eitan viene completamente stravolta: inspiegabili assenze dall’ospedale, furti di medicinali dallo stesso ospedale necessari per curare gli eritrei che Sirkit, di volta in volta, gli porta; le menzogne sempre più improbabili che deve inventare per la moglie e per i figli per giustificare le lunghe assenze, anche notturne, da casa. Ma Sirkit è una donna bella e coraggiosa dotata di grande dignità e fierezza e questo, con il passare del tempo trascorso insieme, comincia nebulosamente a farsi strada nella percezione di Eitan. Il rapporto tra i due inizia a trasformarsi da ricattatrice a ricattato in un rapporto ambiguo in cui, lentamente, si fa strada una sorta di stima reciproca (Sirkit impara “guardando” tanto che Green le lascia finire una sutura ad un paziente), di attrazione inconfessata all’altro/a ma anche negata a sé stessi. Nel frattempo Liat sta indagando sull’incidente che ha causato la morte di Assum inconsapevole che il conducente dell’auto sia suo marito. Naturalmente la menzogna non può reggere al trascorrere del tempo anche perché la Ayelet ci fa conoscere, tramite la frequentazione forzata di Eitan con questa comunità eritrea, una realtà inimmaginabile per Israele: campi profughi, clandestinità, spaccio di droga. La situazione si ingarbuglia sempre più fino a che, in un crescendo parossistico e con continui colpi di scena, Sirkit non commette un delitto per salvare lo stesso Eitan (evito di dire di più per ovvi motivi) e, da quel momento in poi, per stessa ammissione di SIrkit, sono pari: sia Eitan che Sirkit hanno ucciso un uomo e quindi Eitan può riprendere la sua vita. Ma sarà la stessa di prima? La bellezza del romanzo della Gundar-Goshen sta, a mio avviso, come dicevo all’inizio, nei “non dialoghi”, nei desideri, nei sogni, nelle paure, nelle angosce che ognuno dei protagonisti vive senza riuscire veramente ad esprimerli, a confessarli all’altro. Il finale forse un po’ affrettato e tutto sommato “a lieto fine” non inficia la valenza di un bel romanzo.