Dettagli Recensione
L'empatia non è programmabile
Se dovessi vedere il futuro sono certa che avverrebbe come attraverso un vetro, la possibilità di vedere, senza quella di sentire.
Il piano narrativo su cui poggia la storia è molto semplice, piacevole e completo, non ci sono momenti in cui si sente il bisogno di conoscere di più, nonostante molti particolari siano omessi; i fili della trama sono così ben intrecciati che il disegno finale non può non lasciare che soddisfatti.
I personaggi sono ben descritti, tridimensionali e anche in questo caso basta davvero poco per far si che tutto risulti verosimile e comprensibile, azioni dialoghi e interazioni.
La scelta di raccontare la storia dal punto di vista di Klara, un androide programmato per essere amico dei bambini rende la lettura straniante, priva di empatia e quindi in qualche modo oggettiva e dà al lettore la possibilità di entrare nei cuori degli uomini in modo asettico, quasi chirurgico.
Klara è un androide sensibile, come può esserlo un'intelligenza artificiale e in questo Hishiguro è davvero bravo nel non cadere mai nel sentimentale, nel non farle provare sentimenti umani, ma solo eseguire ciò per cui è stata programmata al meglio delle sue possibilità.
Non c'è spazio per i sentimenti, neppure per gli umani.
E' questa la riflessione che mi ha più colpita e che ho trovato davvero interessante e che, pur essendo il primo libro di questo autore che leggo, mi fa capire il perchè del nobel.
La lente attraverso cui si legge il mondo, come ho già detto è quella di Klara, ma si percepisce che potrebbe essere quella di qualunque altro personaggio, nessuno riesce a trasmettere emozioni, forse nessuno riesce a provarle, ognuno ha un fine, ognuno cerca di raggiungerlo, sembrano programmati per quello, l'interazione con gli altri appare quasi casuale.
Ciò che il libro ci restituisce è un mondo in cui uomini, androidi e ginoidi non sono diversi, in tutti è stato tolta, o non è stata data, la possibilità di provare sentimenti autentici e sopratutto di trasmettere emozioni.
Il sole del titolo, essendo il suo nutrimento, è visto da Klara come una divinità, ed è la sola relazione, quella tra Klara e il sole, ad essere totalizzante, a spingere oltre il confine della programmazione per sperare e pregare.
E' curioso che nonostante le situazioni tragiche vissute solo Klara ricorra a questa possibilità, si direbbe che un robot di seconda generazione (ne esistono di terza) riesca ancora a credere nella speranza, mentre gli uomini con la tecnologia capace di fare editing genetico non riescono più a sognare un modo in cui essere felici.
Tutto bello in teoria e gli spunti di riflessione sarebbe tantissimi come i piani di lettura di cui si potrebbe scrivere per ore, gli spunti di riflessione si affollano nella mente, ma c'è qualcosa nello stile che mi è risultato forzato, che non mi ha permesso di entrare in quel mondo ma che me lo ha fatto vedere attraverso il vetro della teca in cui ero rinchiusa.
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Commenti
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:-)
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A me la scrittura dell'autore piace piace parecchio, ma per ora ho resistito al richiamo di quest'opera recente proprio perché non sono affatto interessato alla tematica. Quanto scrivi conferma la mia posizione al riguardo.