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La paura di essere neri
Vincitore del National Book Award 2021, il romanzo racconta la storia di un ragazzino di dieci anni magro, longilineo e dalla pelle nera come la pece, tanto da essere ribattezzato Nerofumo, nome che si porterà dietro per tutto il racconto.
Il ragazzino ha sulle spalle 10 anni di discriminazioni per il colore della sua pelle. Viene bullizzato dai compagni bianchi quando va a scuola, in particolare dal bullo numero uno, quello che ha la pelle bianca come il burro e un fisico quasi da adulto perché avvezzo a lavori faticosi in famiglia. E il nostro protagonista invece è così nero da portare pantaloni lunghi e felpa con il cappuccio tutto l’anno pur di nascondersi e nascondere il colore della sua pelle. A nulla serve un padre che cerca di consolarlo e che gli dice che è bellissimo. I fatti dicono altro.
Sin da bambino cerca di allontanare la consapevolezza di cosa significhi essere neri, detto meglio, la paura di morire per nulla altro che per il colore della propria pelle. Gli adulti cercano di rimandare sempre di più il momento nel quale saranno costretti a spiegargli la verità e a strappargli così i suoi sogni di bambino. Eppure la sua vita, con le notizie quotidiane, è già lì a dimostrare come stiano davvero le cose.
Nel frattempo sin da bambino sogna, sogna di poter diventare invisibile perché il suo colore non si veda più, per evitare di essere bullizzato. Sogna di poter sparire quando ne ha bisogno: per non essere in pericolo e per non soffrire. E ogni volta torna da questa invisibilità con la mente che ricorda meno di ciò che lo farebbe soffrire: una forma di autoprotezione. Ci sono limiti al dolore che l’essere umano può ospitare senza impazzire, e questa è la modalità scelta da nerofumo.
E poi c’è lo scrittore, la cui storia scorre alternandosi a quella del bambino con la quale si incontra spesso. E’ un esordiente di successo, anche lui nero, anche se la sua mente glielo ha fatto dimenticare, sempre come forma autoprotettiva, che soffre di una strana malattia per la quale realtà e fatti veri si mescolano ad altri frutto esclusivo della sua immaginazione. Il suo primo libro, “Che razza di libro”, ha avuto un enorme successo e lui è impegnato a girare gli Stati Uniti tra presentazioni nelle librerie e interviste. Aiutato in questo dalla sua agente e da un media trainer che non si cura del suo aspetto (questo lo fa già la sua agente) ma della sua preparazione psicologica e pratica alle interviste. Cosa deve dire? Ma soprattutto perché deve dirlo? Cosa davvero il mondo vuole sapere di lui? Memorabile la scena dell’incontro tra i due e la prima seduta e la scoperta che dovrà rispondere tutto salvo quello che davvero vorrebbe raccotnare.
Nel corso del tour di presentazione non si lascia scappare l’occasione di godersi la vita, per quel che può, mentre illude la sua agente di avere già iniziato la scrittura del secondo libro e di avere ancora da parte l’acconto ricevuto dall’editore. Ovviamente non è così.
Dopo il primo incontro con il bambino lo scrittore se lo ritrova spessissimo e nelle occasioni più strane, fino a capire che è l’unico a vederlo. E’ frutto della sua immaginazione o è il bambino che ha coronato il suo sogno di riuscire a diventare invisibile?
E il bambino e lo scrittore sono frutto dello stesso processo di rimozione di ciò di cui allontaniamo il pensiero per non soffrire? La verità è però sempre in agguato dentro di noi e prima o poi saremo costretti a farci i conti, ad affrontarla e ad elaborare quella sofferenza.
“Che razza di libro” è un libro sulla paura. Paura delle discriminazioni, paura del male che anche solo le parole possono fare. Paura di morire, perché basta poco o anche niente se si è neri per perdere la vita. E l’essere bambini non protegge. Paura del male, paura di soffrire. Impossibilità di reagire davanti alle ingiustizie.
Le domande che il racconto pone di continuo sono urgenti per il lettore che però, preso dalla storia, va oltre. Ma quelle ritornano.
E’ anche un racconto sullo scrivere e sulle tecniche di marketing per la promozione. Alle domande che gli vengono poste lo scrittore vorrebbe opporre l’unica verità vera: ha scritto perché sentiva l’urgenza di scrivere, niente altro. Eppure dovrà imparare a dare le risposte che il pubblico vuole davvero.
E in fondo anche lo scrittore ha trovato un escamotage alla sofferenza perché non diventi troppa, a partire dal suo dimenticare di essere nero. Ecco quindi che la sua reazione da nero ai neri uccisi riesce a non fare troppo male, a generare solo una tiepida reazione.
Circa il desiderio di diventare invisibili: essere visti serve solo come protezione o essere visti vuol dire essere riconosciuti ed accettati per ciò che siamo?
E la verità dello scrittore fin dove arriva quando si scontra con ciò che i lettori vorrebbero sapere? E cosa siamo disposti a fare pur di sopravvivere?
E noi, ci interroga il libro, quanto siamo in fondo fatti allo stesso modo? Quanto cerchiamo di non pensare per non doverci interrogare? Il racconto solleva davvero molte domande alle quali il lettore è chiamato a dare le risposte.
Nonostante il libro sia permeato da una triste sensazione di paura, nonostante la drammaticità dei fatti che talvolta vengono raccontati, lo stile è da subito allegro, scanzonato, divertente e si fa satirico quando l’attenzione si sposta sullo scrittore. Diviene però riflessivo e più poetico quando il punto di vista è quello del bambino e della sua storia in una bella alternanza di atmosfere allegre e tragiche passando talvolta ad un tono più lirico.
La pagina attrae e la lettura non stanca benché, a mio parere, qualche volta nella seconda parte si percepisca un po’ di ripetitività dei temi.
Probabilmente per scelta i caratteri sono approfonditi solo in parte: lo scrittore ha scelto di dare la precedenza all’atmosfera generale del libro e alla costruzione della storia, e in questo la prova è riuscita.