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Nelle terre estreme di Jon Krakauer
Nell’aprile del 1992 un ragazzo di buona famiglia della costa orientale degli Stati Uniti raggiunse l’Alaska in autostop e si addentrò nel territorio selvaggio a nord del monte McKinley. Quattro mesi più tardi un gruppo di cacciatori d’alci rinvenne il suo corpo ormai in decomposizione. Così inizia la storia di Into the wild; Christopher McCandless un giovane di 22 anni, conseguita la laurea e dati in beneficenza tutti i risparmi, sparì dalla circolazione. Per due anni peregrinò attraverso l’America del Nord in cerca di un’esperienza trascendentale, ma in Alaska, male equipaggiato, senza alcuna preparazione alle condizioni estreme che avrebbe incontrato, morì di stenti all’interno di un autobus abbandonato: il 142 di Fairbanks. Accanto al cadavere fu rinvenuto il diario che ha permesso di ricostruire le sue ultime settimane di vita. Krakauer scrisse sulla rivista “Outside”un articolo sulle misteriose circostanze della morte del giovane e dopo, il suo interesse non si spense, anzi si appassionò alla storia riscontrando dei vaghi ed inquietanti paralleli tra gli eventi di McCandless e la sua vita. Così prese corpo il libro che non è solo una biografia, ma una riflessione su temi quali, il fascino che i territori selvaggi suscitano nell’immaginario americano, l’attrattiva che le attività ad alto rischio esercitano su certi giovani, il complicato e delicato legame che unisce padri e figli. Dalle note dell’autore emerge un ragazzo molto profondo, il cui forte idealismo era difficilmente compatibile con la vita moderna. Affascinato dall’opera di Tolstoj, Mc Candless ammirava il modo in cui il grande scrittore aveva saputo abbandonare una vita di benessere e privilegi per frequentare gli indigenti. Infatti affrontò questo viaggio più che per spirito di avventura come forma di ascetismo, caratterizzato da un assolutismo morale e grande amore per i paesaggi impenetrabili, privi di segni di vita, come in Zanna bianca di Jack London, era nel selvaggio Wild delle spietatamente gelide terre del Nord.
L’autore descrive con grande cura dei dettagli quei luoghi teatro del peregrinare di Cris, le strade, le foreste, le montagne, i fiumi e torrenti fluttuanti nelle loro indescrivibili combinazioni di curve verticali e orizzontali, riporta ad ogni inizio di capitolo stralci di pagine in cui la natura è vissuta come qualcosa di selvaggio e terribile benché bellissimo.
Il protagonista di questa tragica vicenda sente il bisogno di mettersi alla prova di continuo e di portare il rischio al suo estremo logico. A differenza di tanti audaci scalatori, viaggiatori, Mc Candless si avventurò nella foresta non tanto per riflettere sulla natura e sul mondo in generale, quanto per esplorare il paesaggio interiore della propria anima. Sul diario sono poche le divagazioni sulla natura, scarsa la menzione del paesaggio, non che non riuscisse ad apprezzare le bellezza circostante e che non fosse toccato dal potere del paesaggio, ma non era tormentato dalla disperazione esistenziale, diffidava del valore dei traguardi facili e pretendeva molto da sé di più di quanto fosse in grado di dare. Rimane comunque elusiva, sfuggente e vaga l’essenza della vita e della morte di giovane.