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La casa di marzapane
 
La casa di marzapane 2022-06-04 19:43:14 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    04 Giugno, 2022
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L'ATTRAZIONE FAUSTIANA DELLA COSCIENZA CONDIVISA

“Mai fidarsi di una casa di marzapane!”

Nell’ultimo capitolo de “Il tempo è un bastardo” Jennifer Egan immaginava che il protagonista di quel racconto, Alex, cercasse di portare alla memoria Sasha, la ragazza insieme alla quale aveva trascorso una notte molti anni prima, ma alla fine era costretto a riconoscere di non ricordare praticamente nulla di quell’incontro, né come lei si chiamasse, né che aspetto avesse, e persino che cosa avessero fatto insieme. Quei dettagli erano stati completamente cancellati dal tempo, e questa sensazione era frustrante, “come quando cerchi di ricordare una canzone che ti ha fatto sentire in un certo modo, ma senza disporre di un titolo, del nome dell’artista, o anche solo di qualche accordo per richiamarla alla memoria”. Nello stesso libro, lo studente informatico Bix Bouton si trovava di notte con gli amici Rob e Drew davanti all’East River, prima di lasciarli alla loro tragica nuotata nel fiume, e all’auspicio di Drew (“Ricordiamoci di questo giorno, anche quando non ci conosceremo più”) aveva risposto: “Oh, ma noi ci conosceremo sempre. I tempi in cui ci si perdeva di vista sono quasi finiti […] Ci ritroveremo in un luogo diverso. Tutti quelli che abbiamo perduto, li ritroveremo. O saranno loro a ritrovare noi”. L’episodio era ambientato all’inizio degli anni ’90, e l’affermazione di Bix preconizzava l’avvento di Facebook e dei social media, che all’epoca di pubblicazione del romanzo, il 2011, si era ormai trasformato da anni in un fenomeno pervasivo e inarrestabile. Jennifer Egan deve essere rimasta affascinata dalle potenzialità narrative della nuova tecnologia digitale e della sua indissolubile interazione con la nostra vita di tutti i giorni, negli anni successivi affrontata con successo anche da altri autori, come Dave Eggers ne “Il Cerchio” o Richard Powers in “Smarrimento”, e nel suo nuovo romanzo, “La casa di marzapane”, ha voluto spingersi, con quel coraggio e quella capacità visionaria che da sempre la contraddistinguono, fino a immaginare un futuro in cui non solo è possibile condividere con chiunque canzoni, fotografie e informazioni (come normalmente facciamo con Youtube, Instagram e Whatsapp), ma addirittura i ricordi e le sensazioni private dell’intera esistenza. “Riprenditi l’inconscio” viene inventato proprio dal già citato Bix Bouton, nel frattempo diventato un guru del mondo digitale, e la scintilla all’origine di tutto è, guarda caso, l’episodio con Rob e Drew di quasi vent’anni prima, che si rivela sfuggente ed elusivo in maniera sconfortante (“Dov’era rimasto nascosto quel ricordo, fino a quel momento? E dov’era il resto: la voce di Rob, e quella di Drew, e tutto quello che avevano detto e fatto in quell’ultima mattina della vita di Rob? […] Sentì il mistero del proprio inconscio simile a una balena che fluttuava invisibile al di sotto di un minuscolo nuotatore. Se non era capace di consultare o di recuperare o di vedere il suo passato, allora quel passato non era veramente suo: era perduto”). La nuova tecnologia di Bix sembra fin da subito una sorta di incantesimo, di bacchetta magica capace di esaudire i nostri più reconditi desideri. In fondo, chi non vorrebbe rivivere il giorno in cui si è innamorato, ha scalato una vetta himalayana o ha imparato per la prima volta ad andare in bicicletta? Senza parlare della possibilità di rivedere in maniera vivida amici perduti o familiari scomparsi. Esternalizzando il contenuto della propria coscienza in un hard disk apposito, il Cubo della Coscienza, tutto questo diventa possibile. Ma non è tutto. Caricando la memoria su un collettivo condiviso, una sorta di “cloud”, si ha la possibilità di accedere ai pensieri anonimi e ai ricordi di tutte le persone che hanno accettato di fare altrettanto: come dire che diventa possibile sperimentare il raduno di Woodstock o la caduta del muro di Berlino attraverso gli occhi di chi quel giorno c’era! E’ una cosa apparentemente meravigliosa, allettante oltre ogni più audace speranza, e difatti la Egan immagina che l’invenzione di Bix abbia un successo enorme, planetario, al punto che diventa abituale regalare il Cubo della Coscienza a tutti i neo-ventunenni come regalo per festeggiare l’entrata, oltre che nella maggiore età, anche in una nuova, incommensurabilmente più ampia dimensione esistenziale. Ma, ovviamente, c’è un grosso “ma”. Come abbiamo imparato con l’avvento di Internet, nulla è davvero gratis. Napster e i suoi emuli, ad esempio, ci hanno permesso di condividere una moltitudine enorme di canzoni, ma questo ha giocoforza comportato una grave crisi dell’industria discografica, e lo stesso può dirsi di quella cinematografica e, in una certa misura, anche dell’editoria. Il più grave danno, quello forse meno percepibile a prima vista, ma evidentissimo nelle sue conseguenze a lungo termine, è la rinuncia alla propria privacy. Se qualcuno si chiedesse come sia possibile accedere illimitatamente a video, immagini e informazioni nella rete, e dove i vari Facebook, Twitter e Whatsapp traggano i loro guadagni, la risposta non potrebbe che risiedere nella mole di dati personali che ogni giorno accettiamo di cedere, acconsentendo senza pensarci troppo ai cookie che ci vengono proposti. Non c’è nulla di orwelliano in questo, la rinuncia alla privacy è accettata volontariamente, anzi a cuor leggero, a fronte di una contropartita in apparenza molto più remunerativa e gratificante. Anche “Riprenditi l’Inconscio” funziona così, anzi il suo fascino è un irresistibile canto delle sirene cui non è possibile resistere, una droga che crea una fatale dipendenza, e non è un caso che sia proprio la tossicodipendente Roxy a essere nel romanzo la più entusiastica fautrice del Cubo della Coscienza, il quale le offre l’illusoria e ingannevole impressione di poter finalmente “lasciare la sua impronta” nel mondo. E’ in questo problematico contesto che la Egan immagina che, a fronte della stragrande maggioranza che considera la nuova tecnologia alla stregua di un progresso enorme, epocale per l’umanità, una invenzione da cui non si può prescindere senza dover rinunciare a una parte essenziale della propria personalità, vi siano invece persone le quali, avendo subodorato i pericoli ad essa connessi (la rinuncia alla propria intimità, perché se è vero che tu sai tutto di tutti, è altrettanto vero che tutti sanno tutto di te; l’impoverimento della vita sociale, dal momento che i rapporti finiscono per esaurirsi in una narcisistica e fondamentalmente inautentica esibizione del proprio ego; il ripiegamento nel passato, che diventa, con la possibilità di riviverlo senza più amnesie, fin nei minimi dettagli, molto più interessante del futuro), cercano di eludere la propria identità digitale, e delle organizzazioni “resistenti” (che mi hanno ricordato un po’ gli esuli guidati da Granger di “Fahrenheit 451”) che li aiutano in questa opera, al fine di boicottare la creazione di Bouton.
“La casa di marzapane”, alla luce di quanto detto finora, sembra il libro ideale per un gruppo di discussione che si proponga di analizzare i pro e i contro delle nuove tecnologie digitali. Jennifer Egan è chiaramente consapevole di questo aspetto, ma fa di tutto per non ridurre la sua opera al rango di un facile pamphlet. Il suo atteggiamento non è sfacciatamente partigiano, perché se da una parte mette in risalto i rischi di “Riprenditi l’Inconscio”, dall’altra non nasconde i suoi risvolti positivi: “la giusta sanzione per decine di migliaia di delitti rimasti impuniti; lo sradicamento totale della pornografia infantile; la riduzione netta dei casi di Alzheimer e demenza senile mediante re-infusione di coscienza integra precedentemente salvata; la conservazione e la rinascita di lingue quasi morte; il ritrovamento di schiere di persone scomparse”. Quello che per la Egan è il vero aspetto dirimente della questione, al di là di tutti i vantaggi e i rischi finora considerati, è soprattutto questo: “Riprenditi l’Inconscio”, con la possibilità che dà a chiunque di rendere consultabili in forma anonima le coscienze di tutti, genera un eccesso di informazioni da cui si rischia di venire sommersi. Sapere tutto è in fondo la stessa cosa di non sapere nulla. E siccome “non tutte le storie meritano di essere raccontate”, il risultato finale di questa pletora di informazioni sarebbe la morte delle storie, la fine dell’immaginazione. Pensiamo per un attimo alla sorte della “Recherche” di Proust se all’epoca ci fosse stato il Cubo della Coscienza: non ci sarebbe stato bisogno di alcuna madeleine per riesumare miracolosamente il passato, e al posto del selciato sconnesso di palazzo Guermantes sarebbe stato sufficiente un anonimo hardware dove esternalizzare la propria coscienza e un banale visore per far risorgere dall’oblio, senza alcuna fatica, Swann e Odette, madame Verdurin e il barone di Charlus. Il prezzo che il mondo avrebbe pagato per l’irrisoria facilità di accesso al proprio passato sarebbe stato la perdita di un insostituibile capolavoro della cultura, e la precisione delle informazioni ottenute sarebbe inevitabilmente andata a detrimento della poesia. “La casa di marzapane” può essere quindi letto come una sorta di inno all’immaginazione, alla capacità della letteratura di creare e condividere storie in maniera migliore di quanto la tecnologia digitale, con le sue sterili e anodine funzionalità, è in grado di garantire. Per fare una similitudine molto approssimativa ma efficace, l’arte starebbe alla tecnologia come l’erotismo alla pornografia. Il personaggio che meglio incarna questa posizione è sicuramente quello del figlio minore di Bix Bouton, Gregory, l’aspirante scrittore che al termine del romanzo ritrova la vena creativa perduta: “Gregory fissava, folgorato, la neve che gli cadeva addosso come detriti spaziali, disordinati stormi di uccelli; come se l’universo volesse svuotarsi. Capì subito il senso di quella visione: le vite umane, passate e presenti, intorno a lui, dentro di lui. […] Una galassia di vite umane che precipitavano verso la sua curiosità. In lontananza, sfumavano nell’uniformità, ma si muovevano, ognuna spinta da una forza singolare e inesauribile. Il collettivo. Riusciva a sentire il collettivo senza bisogno di macchinari. E le storie di questo collettivo, infinite e particolari, sarebbe toccato a lui raccontarle.”
Nonostante tutto quello che si è detto finora, si cadrebbe in un imperdonabile errore se si pensasse che l’invenzione di Bix Bouton è sempre, ossessivamente al centro del romanzo, monopolizzando ed esaurendo le sue potenzialità narrative. Al contrario, “Riprenditi l’Inconscio” fa da semplice, anche se costante, sfondo alle tante storie del libro, come una cosa che, per quanto rivoluzionaria, è stata ormai assimilata da tutti, e non c’è più bisogno di essere didascalicamente spiegata da ogni personaggio. Pensiamo, per fare un esempio, a Internet e a come la rivoluzione digitale ha cambiato la nostra esistenza: ebbene, nella normalità delle nostre giornate, non riflettiamo quasi mai sulla costante presenza degli smartphone, dei device digitali, delle piattaforme di condivisione e dei social media, dandoli praticamente per ovvi, per scontati, anche se grazie a essi le nostre abitudini di vita non sono più le stesse di qualche anno prima. Allo stesso modo, “Riprenditi l’Inconscio” di Bix è già presente come una realtà normale nella maggior parte dei capitoli, e il lettore si trova praticamente catapultato in media res, costretto a destreggiarsi per capire cosa siano i “gray grabs” e quale ruolo abbiano nel sistema i “contatori”, i “proxy” e gli “elusori”. L’impressione non è quindi quella di un romanzo distopico e fantascientifico, ma al contrario di un romanzo che racconta, se non proprio l’oggi, di certo un domani imminente, ormai alle porte, con l’ottica di chi ha proprio di fronte agli occhi, se solo si sforza di afferrarlo, il cambiamento nel momento stesso in cui si sta producendo. L’apparizione stessa nel romanzo dei personaggi già conosciuti ne “Il tempo è un bastardo” ha l’effetto di cucire insieme passato, presente e futuro, con il risultato di rendere tutto estremamente verosimile e naturale. Ne “La casa di marzapane” i personaggi del libro di undici anni prima ci sono praticamente tutti, come inattese e sorprendenti agnizioni, che la ispiratissima prosa della Egan riesce a orchestrare con un sapiente dosaggio lungo tutto il romanzo, il quale assume in un certo senso la forma di un complesso mosaico in cui ogni pezzo rimanda, con una sorta di inevitabile necessità, a un altro tassello vicino, e questo a un altro ancora, con un affascinante effetto domino il cui esito è un universo sì autoreferenziale, in cui però è estremamente naturale da parte del lettore rispecchiarsi. Tale era l’appeal di personaggi come Bennie, Sasha, Lou, Dolly o Bosco che deve essere sembrato naturale alla scrittrice di Chicago dar loro un ulteriore sviluppo, seguirli ancora un po’ nelle loro traiettorie esistenziali. A eliminare ogni effetto nostalgia è però il predominio diegetico acquistato dalle nuove generazioni, personaggi che non fanno rimpiangere, dal punto di vista narrativo, i loro progenitori. Alcuni di loro sono costruiti in maniera esemplare, con una poliedrica complessità e una affascinante problematicità (come Alfred, ossessionato dall’autenticità a tal punto da cercare di provocarla inducendo negli altri, con le sue immotivate urla in pubblico, reazioni di profondo disagio, o Molly, con il suo costante assillo di stare con gente “cool” e la paura adolescenziale di non venire accettata, di essere scartata) tali da renderli tra i più interessanti caratteri scaturiti dalla letteratura contemporanea.
Lo schema narrativo de “La casa di marzapane” è in fondo lo stesso de “Il tempo è un bastardo”: ogni capitolo è appannaggio di un personaggio diverso, normalmente apparso come figura secondaria in uno dei capitoli precedenti, con l’uso ora della prima ora della terza persona singolare (ma, nel brano riservato a Lulu, persino della seconda persona plurale), e i singoli capitoli, ambientati in epoche diverse (si va suppergiù dal 1965 al 2035, con un fugace accenno addirittura al 2070), potrebbero anche essere letti come racconti a se stanti, senza per questo perdere nulla del loro fascino. Oltre alla cronologia e al punto di vista, a differenziare le varie parti del romanzo è poi lo stile, che cambia a seconda dei personaggi: nel capitolo dedicato a Chris, il suo lavoro di programmatore fa sì che ogni situazione che si trova a vivere venga inconsciamente trasformata in una formula algebrica, in un algoritmo; la storia spionistica di Lulu è scritta interamente come una serie di messaggi e di istruzioni operative della lunghezza di un “tweet”; “Vedi sotto” è invece composto di sole e-mail, una sorta di rivisitazione contemporanea del romanzo epistolare di una volta. A distinguere maggiormente “La casa di marzapane” dal suo illustre predecessore è invece la sua atmosfera. Se “Il tempo è un bastardo” era una profonda e originale riflessione sul tempo e sul fatto che il trascorrere degli anni tende a far emergere impietosamente lo scarto nei confronti dei sogni e delle aspettative della propria giovinezza, l’ultima opera della Egan è in apparenza meno pessimistica (alla fine Lulu si riconcilia con il padre famoso che era scomparso precocemente dalla sua vita, Gregory supera il suo paralizzante blocco dello scrittore, Lincoln sposa, nonostante il suo autismo, la ragazza di cui si è innamorato, Miles, dopo aver perfino tentato il suicidio, si lancia con successo nella carriera politica), ma dietro a tutte le sue storie di caduta e di redenzione c’è il sottile, subdolo sospetto che l’umanità abbia dovuto accettare una sorta di patto faustiano per riuscire a realizzare la propria felicità, ed in questo diabolico accordo abbia perso irrimediabilmente la propria anima.
A conclusione di queste riflessioni, ritengo di poter affermare che, per tutti coloro che hanno amato “Il tempo è un bastardo”, “La casa di marzapane” sia un libro davvero imprescindibile: pur essendo bandita ogni vieta nostalgia, pur non essendoci alcun facile ricorso alla serialità oggi così tanto di moda, la presenza di personaggi a cui ci si era affezionati garantisce un effetto di confortevole familiarità. Per quelli che invece quell’opera non l’hanno mai letta, è l’occasione ideale per scoprire un talento narrativo genuino e anticonvenzionale, una scrittura in grado di riportare in auge un genere che mi verrebbe da definire “postmodernismo 2.0”, uno stile che a tratti (il capitolo “i, il Protagonista”, ad esempio ) mi ha ricordato il miglior Wallace, pur essendo profondamente personale, e una visione che, benché proiettata nel futuro, non si crogiola mai nella distopia, ma propone, senza bisogno di parallelismi e di metafore, una efficace chiave di lettura per interpretare il nostro complicato e confuso tempo presente.

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"Il tempo è un bastardo" di Jennifer Egan
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