Dettagli Recensione
Theo & Robin
Richard Powers negli anni è riuscito sempre più a distinguersi nel panorama letterario per la sua componente naturalista e la sua capacità di far riflettere su quello che è il mondo della natura ma anche a sensibilizzare in merito. E a distanza di mesi dalla lettura credo che la sintesi di “Smarrimento”, edito da La Nave di Teseo nel mese di ottobre 2021, sia “consapevolezza”.
Se dal punto di vista stilistico l’opera si presenta estremamente scorrevole la trama non è da meno, si segue con rapidità ma non ne rappresenta, a mio modesto parere, la vera forza. La trama, infatti, è abbastanza intuibile e non presenta, almeno nella sua prima parte, grandi sconvolgimenti o colpi di scena – cosa che oltretutto da una tipologia di romanzi quali quella presentata è cosa della quale non ci si aspetta alcunché.
Partiamo dal presupposto che “Smarrimento” parte da dove si era interrotto “Il sussurro del mondo”, opera che si era conclusa con un paesaggio unico nel suo genere, quello della foresta vergine delle Smoky Mountains, parco naturale dell’Illinois dove sappiamo aver scelto di vivere lo stesso narratore. E proprio in virtù di questo concludere e ripartire non sfugge il vero senso dello scritto e cioè la volontà di sensibilizzare, di rendere consapevolezza, di sfruttare la leva scatenante per fare qualcosa di concreto sul clima, sul problema del riscaldamento globale e i cambiamenti climatici annessi. Da qui ci spostiamo all’altro punto focale e nodale dello scritto e rappresentato dalla forza esistente tra i due protagonisti principali, un rapporto tra un padre rimasto recentemente vedovo e un figlio “diverso”, quasi “alieno” – in termini affettuosi e non denigratori – rispetto a quella umanità circostante. Da questa relazione emergono le emozioni che più scuotono dal punto di vista empatico e cioè il dolore dell’assenza di una figura tanto coniugale quanto materna, la solitudine, il profondo e mai abbandonato senso di inadeguatezza, la difficoltà di essere un genitore solo alle prese con l’educazione di un figlio che purtroppo viene definito problematico e quel sentimento di amore e affetto che lega queste due figure così indissolubili. Ecco perché Theodore Byrne, astrobiologo, e suo figlio Robin, di nove anni e amante della natura, sono come i membri di un equipaggio spaziale, come superstiti in un mondo distrutto. Ecco perché amano leggere “Fiori per Algernon” di Daniel Keys, ecco perché rendono tributo a quella fantascienza che appassiona ma che si sofferma anche sulla dimensione neurologica. Due facce, alla fine, della stessa medaglia. Vi è anche una riflessione sul genere umano che trapela con tutto quel pessimismo e quella sfiducia dati dal disincanto.
«Lo capii, là sul margine dell’oscurità: aveva visto l’incontaminato cielo notturno. Aveva ammirato le stelle come nessun altro avrebbe mai fatto sulla faccia della Terra. Aveva visto il cambiamento e il tempo, i cicli e la diversità. La matematica e le storie, innumerevoli, astruse e varie come le costellazioni sullo sfondo nero. Mi chiamò, da oltre il confine permanente dell’oscurità. Papà. Papà! Non hai idea. Ma io ero bloccato nella luce e non riuscivo ad attraversare.»
A ciò si somma una narrazione che si snoda sui ricordi, ricordi tra loro sfalsati ma che nel loro sfalsare ricostruiscono e compongono proprio quello che è sfaldato e distrutto. Una narrazione a cui si sommano temi quali l’ecologia, le scoperte neuro-scientifiche sul cervello, il dilemma morale e il dilemma etico, il tema della famiglia e dei legami del vivere.
Un’opera che scuote, suscita interesse e invita a meditare e che lascia anche aperti spiragli alla propria libera interpretazione proponendosi come uno spunto di riflessione che nel suo dare non vuole volutamente rispondere a tutte le domande che suscita.
Volendo si può anche definire o ritenere una distopia dai toni “leggeri”, un tributo al genere che non eccede nel suo sviscerarsi e che nei suoi obiettivi mostra, ancora, il paradosso del nostro mondo che paradossalmente sembra essersi smarrito in se stesso. Uno “smarrimento” che pare essere destinato a essere definitivo perché il mondo ha perso il suo volto, ha perso se stesso e non sa più ritrovarsi. Non mancano poi i riferimenti a pilastri del genere quali “La strada” di McCarthy e/o i racconti brevi di Ted Chiang. Una lettura sinceramente godibile.
«Il Currier Lab stava esaminando ciò che veniva definito “neurofeedback decodificato”. Assomigliava all’ormai superato biofeedback, ma con l’imaging cerebrale per un feedback mediato da IA in tempo reale. Un primo gruppo di soggetti – i “bersagli”– entravano in stati emotivi in reazione a stimoli esterni, mentre i ricercatori scansionavano regioni pertinenti dei loro cervelli usando la risonanza magnetica funzionale. I ricercatori poi scansionavano le stesse regioni cerebrali di un secondo gruppo di soggetti – i “tirocinanti” – in tempo reale. L’IA monitorava l’attività neurale e trasmetteva segnali uditivi e visivi per pilotare i tirocinanti nella direzione degli stati neurali preregistrati dei bersagli. In questo modo, i tirocinanti imparavano ad avvicinarsi ai modelli di eccitazione nei cervelli dei bersagli, e, apprezzabilmente, cominciavano a riferire di avere emozioni simili.»
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