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Franny e Zooey
 
Franny e Zooey 2022-03-31 10:27:27 kafka62
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
kafka62 Opinione inserita da kafka62    31 Marzo, 2022
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L'IMPOSSIBILITA' DI ESSERE NESSUNO

“Accidenti, - disse, - ce ne sono di cose belle al mondo. E quando dico belle intendo belle. Siamo degli idioti a svicolare sempre dalle cose. Sempre, sempre, sempre lì ad annotare tutti gli accidenti che capitano al nostro piccolo e schifoso io.”

“Franny e Zooey” non è un vero e proprio romanzo, bensì un dittico di racconti, cronologicamente sequenziali e collegati tra loro dalla presenza in entrambi del personaggio di Franny Glass. Al centro della breve opera di Salinger c’è la famiglia Glass, che già aveva fatto la sua apparizione in un paio di novelle di “Nove racconti” e alla quale lo scrittore statunitense ha anche voluto interamente dedicare la sua (peraltro esigua) produzione successiva: una famiglia eccentrica composta da due genitori ex stelle del music hall e da sette figli incredibilmente intelligenti (tutti quanti hanno partecipato per anni, durante la loro infanzia, come ospiti fissi allo show radiofonico “Ecco un bambino eccezionale”), ma minati nel profondo da un micidiale mix di misantropia, cinismo e depressione, con la morte (quelle di Seymour, l’indimenticabile protagonista suicida di “Un giorno ideale per i pescibanana”, e di Walt) ad aleggiare costantemente in sottofondo. Appare evidente da queste poche note l’affetto che l’autore ha riversato su questi personaggi (uno dei quali, lo scrittore Buddy, è anche un’evidente proiezione autobiografica di Salinger stesso), i quali, nonostante le loro indubbie doti innate, faticano a trovare un loro posto nel mondo e, per le loro caratteristiche, paiono perfettamente idonei per portare avanti la riflessione, che già era centrale nel “Giovane Holden”, sul disagio giovanile nella società americana contemporanea. L’acuta sensibilità e la profonda intelligenza, di cui la natura è stata prodiga con i fratelli Glass, più che essere una fortuna, un atout da spendere sul tavolo da gioco della vita, costituiscono paradossalmente un handicap (“non capisco proprio a cosa serva – esclama a un certo punto Bess, la madre – sapere tante cose ed essere tanto intelligenti e così via, se non riuscite a essere felici”), in quanto li rendono incapaci di adeguarsi a un mondo ipocrita, ottuso e conformista. In “Franny e Zooey” è la piccola della famiglia a soffrire di più di questa consapevolezza, la quale degenera in un vero e proprio esaurimento nervoso. Problematica e insoddisfatta, sempre pervasa da sensi di colpa, Franny si sente circondata da gente tutta uguale, meschina, egocentrica e interessata solo ad arrivare da qualche parte, a fare colpo, ad avere successo. “Tutto quello che la gente fa è […] così insignificante, così minuscolo, così… deprimente. E il peggio è che se ti metti a fare il bohémien o qualche altra stranezza del genere, sei conformista lo stesso, come tutti gli altri, solo in modo diverso”. Di qui l’aspirazione ad annullare il proprio ego, ad “essere nessuno e basta”, un’inclinazione che, sotto l’apparente vitalismo adolescenziale, nasconde un animo che vuole solo staccare la spina e fuggire dalla realtà. Il ricorso al misticismo, a quella preghiera continua a Gesù che la ossessiona, non è altro in fondo che l’espressione ipostatica di questo atteggiamento di ripiegamento in se stesso e di chiusura al mondo esterno.
E’ il fratello Zooey, cinico ma affettuoso, incline all’apatia (“Certe volte potrei stendermi beatamente per terra ad attendere la morte”) eppure capace di assumersi le sgradevoli responsabilità familiari, a offrire una grande lezione di saggezza, spronando la sorella a uscire dal proprio solipsismo (anche il vittimismo e la critica al mondo sono in fondo un atto di superbia, di egocentrismo), a fare bene il proprio lavoro (senza attaccarsi troppo ai suoi frutti, senza l’ansia del risultato a tutti i costi) e a trovare Gesù non solo, o non tanto, nella preghiera (che puzza troppo di devozione) ma nel prossimo (la geniale immagine della Signora Grassa, che simboleggia gli altri con cui, nonostante la tendenza a escludersi, a isolarsi, è necessario misurarsi per dare un senso alla propria esistenza). Per la prima volta in Salinger diventa centrale la prospettiva religiosa, che già aveva fatto capolino nell’ultimo dei “Nove racconti”. La cosa non deve stupire, in quanto Salinger era – sebbene spesso lo si tenda a passare in secondo piano – un seguace entusiasta del buddhismo e dell’induismo. La personale deriva mistica dell’autore si riflette nel sincretismo religioso che permea le pagine di “Franny e Zooey”, in cui la preghiera assomiglia a un mantra, la figura di Gesù è affiancata da quelle dei bodhisattva e degli arhat, e il cristianesimo sfuma nella filosofia zen. Al mondo consumistico e materialista Salinger oppone l’imperturbabilità, la calma interiore, la costanza, il piacere del lavoro per il lavoro come valori a cui ancorarsi. E’ una tesi che sembra preannunciare quelle istanze spiritualiste e pseudo-religiose che hanno caratterizzato la controcultura americana degli anni ’60, e che quindi parrebbe identificare Salinger come scrittore antisistema. In realtà Salinger, più che un artista affine alla beat generation, e nonostante alcune folgoranti pagine di critica al sistema universitario americano, assomiglia a un esponente suo malgrado dell’esistenzialismo, con questi personaggi fragili e innocenti, sempre sull’orlo dell’assurdo, per i quali il ricorso compulsivo al fumo (sono sicuro che, se chi ha calcolato il numero record di “fuck” in Wolf of Wall Street” facesse altrettanto con il numero di sigarette o di sigari fumati dai personaggi di “Franny e Zooey”, uscirebbe fuori una cifra strabiliante, probabilmente superiore al numero di punti interrogativi utilizzati dallo scrittore nei due racconti) è un’espressione del loro disperato bisogno di appigliarsi a qualcosa, a qualsiasi cosa pur di non cedere alla tentazione del vuoto e della mancanza di senso della vita. In virtù di queste considerazioni, si può pertanto affermare che l’opera di Salinger oscilla costantemente tra la negazione e l’idealismo, facendo “eternamente la spola tra l’angoscia e la gioia sublime”.
“Franny e Zooey” non ha una vera e propria storia, se si prova a farne una sinossi si scopre che non esiste neppure una trama, in quanto le sue poche pagine sono composte quasi esclusivamente di dialoghi e di gesti. Sono loro, gesti e parole, a definire i personaggi, e non la descrizione delle loro psicologie. Si pensi a una figura secondaria come quella di Bess, che è magnificamente caratterizzata solo dal suo kimono, nelle cui tasche smisurate e tintinnanti prendono posto sigarette, fiammiferi, martelli, cacciaviti, chiodi e coltelli da boy-scout, e dalla sua continua e inopportuna offerta ai figli di rigeneranti tazze di brodo di pollo. Salinger non spiega e non dimostra, non è in alcun modo didascalico, non si atteggia minimamente a maestro, pur avendo i titoli per farlo; egli si limita a mostrare e a lasciare al lettore l’interpretazione del senso della vicenda. Espressione squisita e raffinatissima di un disimpegnato understatement, la sua scrittura è lessicalmente ricca eppure essenziale, fin quasi a sfiorare il minimalismo, colloquiale ma mai vietamente teatrale, minuziosa ed accurata senza mai cadere in uno sterile virtuosismo. Lo stile di Salinger è inconfondibile, ineguagliabile, eppure devo confessare che “Franny e Zooey” mi ha lasciato un retrogusto amarognolo, in quanto mi ha fatto assaporare quello che poteva essere un delizioso antipasto, ossia l’esordio di una promettente saga familiare, ma poi non ha fatto seguire il resto del pranzo, lasciando la storia dei Glass penosamente in sospeso, incompiuta (a parte tre successivi, brevi racconti, uno dei quali mai neppure pubblicato in Italia). E’ un po’ come trovarsi di fronte a un grandioso affresco, di strabiliante bellezza, e avere la possibilità di esaminarne in maniera dettagliata solo un limitato e trascurabile particolare, affascinante sì ma troppo esiguo. Ho il sospetto che se non ci fosse il carismatico nome di Salinger in copertina, “Franny e Zooey”, piccolo e delicato gioiello, pregiato a dispetto della sua levità e della sua inconsistenza (o forse, paradossalmente, proprio grazie ad esse), correrebbe il serio rischio di cadere nell’insignificanza e nell’oblio.

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Consigliato a chi ha letto...
"Nove racconti" e "Alzate l'architrave, carpentieri e Seymour. Introduzione" di J.D. Salinger
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Commenti

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Titolo splendido, evocativo e pregnantemente sintetico: l'identità, l'esistenza con la sua esasperante e vertiginosa ricerca di senso è forse il problema fondamentale del libro che considero fra i miei preferiti. In particolare ho apprezzato moltissimo il ribaltamento prospettico nella concezione dell' ego e la sua conseguente ed inattesa, problematica rivalutazione
Non riuscirei a leggerlo, grazie per il nutrito commento.
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kafka62
01 Aprile, 2022
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Sono contento che ti sia piaciuto, Maria Teresa. Io ho il rimpianto di non averlo letto a 20 anni, perchè credo che possa dire molto a un adolescente, anche al giorno d'oggi. Hai perfettamente ragione riguardo alla concezione dell'ego che, nella prospettiva di Franny, diventa una trappola, in quanto generatore di estenuanti sensi di colpa, dal momento che - non potendo essere "nessuno", cosa a cui Franny inconsciamente aspira ma che è per ovvie ragioni impossibile - fatalmente si finisce per essere egotisti. E' molto saggio Zooey a ribaltare questa concezione, ricordando alla sorella che "Tu non fai altro che parlare di ego. Dio mio, ci vorrebbe Cristo in persona per stabilire che cosa è ego e che cosa non lo è. Questo è l'universo di Dio, carissima, non il tuo, e tocca a Lui l'ultima parola su cos'è ego e cosa non lo è. Come la mettiamo allora col tuo amato Epitteto? O con la tua amata Emily Dickinson? Vuoi proprio che la tua Emily, ogni volta che le vien voglia di scrivere una poesia, si metta a sedere e dica una preghiera finché quella sua orribile voglia egotistica non le passa? No, certo che no!”.
In risposta ad un precedente commento
kafka62
01 Aprile, 2022
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Grazie Laura
sì, è proprio vero, quando l’ho letto mi ha messa a soqquadro!Illuminante è pure la riflessione sulla grandezza del Cristo silente dinanzi a Pilato e brillantemente contrapposto a San Francesco
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