Dettagli Recensione
Quale vita?
“ L’ uomo che aveva visto tutto “ è un labirinto inafferrabile, un contorto giuoco mentale e di specchi, strani accadimenti che attraversano il tempo, particolari che richiamano la memoria e frammentano il reale, suoni, voci, immagini, protagonisti, tutto cambia in un viaggio dai contorni metatemporali.
Realtà e fantasia, prima, dopo, durante, una ricostruzione improbabile, impossibile e non necessaria.
Il romanzo inquadra pochi fatti. 1988, Saul Adler, il protagonista, uno storico specializzato nello studio dei paesi dell’ Europa dell’ est comunista, viene investito senza conseguenze apparenti da un’ automobile sulle strisce pedonali di Abbey Road a Londra, rese famose da una celebre copertina di un album dei Beatles. La sua vita pare riprendere forma ma viene lasciato dalla fidanzata, Jennifer Moreau, una talentuosa fotografa che vorrebbe sposare, si trasferisce per un periodo a Berlino per conoscere e scrivere sulla vita nella Germania dell’ est poco prima della caduta del Muro, frequenta due fratelli, Walter e Luna, si innamora, li tradisce, ritorna in patria e trent’anni dopo viene nuovamente investito sulle stesse strisce pedonali e si ritrova a riflettere in un letto d’ ospedale.
In questi trent’anni ha convissuto con vuoti di memoria, conosce pezzi di futuro, è attraversato e ossessionato da sensazioni famigliari, vede volti e persone che ritornano, interpreta situazioni, ricorda frammenti di vita, ignora porzioni della stessa, confonde i volti, insegue una logica all’ interno del proprio senso di fallimento.
Il lettore è rapito dall’ idea di una possibile ricostruzione consequenziale, di dare un volto a persone invecchiate e ringiovanite in un istante e nella stessa stanza, presenze che parlano dal passato e dal futuro a qualcuno che non c’è, cercando cause ed effetti.
Tutto cambia, rimosso da una nuova versione dei fatti, le poche certezze sfumano in personaggi che ne interpretano altri o che non esistono se non nella mente allucinata e fragile del protagonista.
Quante trame, parole e gesti necessari per scardinare il visibile e afferrare l’ inafferrabile nel caos di una vita indefinibile. Perché Jennifer non si fida di Saul e il suo progetto di matrimonio è fallito? Quale relazione con un padre autoritario e comunista e con un fratello sadico e violento?
E la comunione con Walter il cui sguardo gli legge dentro e la cui presenza lo fa sentire libero? E l’ affetto per l’ amico Jack, un tipo che sembra non avere sentimenti, poco amabile perché poco amorevole? Cosa dire di una madre impressa nella propria mente dall’ età’ in cui è morta? Che ne è stato di Luna, lunatica come il proprio nome, innamorata dei Beatles, che voleva costruirsi un futuro altrove?
E tutte quegli oggetti e sensazioni che hanno accompagnato il viaggio di Paul, una scatola di fiammiferi contenente delle ceneri, l’ obiettivo di una macchina fotografica sempre puntato contro, le foto di un’ altra geografia e di un altro tempo, dell’ ananas in scatola da comprare, un barboncino a cui parlare, un presunto incendio, una fidanzata che amava il suo corpo e che gli ha sempre impedito di descriverla fisicamente?
Nel 2016, in un letto di ospedale, Saul Adler si domanda cosa ne è stato di se’ e che cosa è successo in tutti questi anni, lui che non è mai riuscito ad avere una relazione libera con il proprio corpo, che non è mai stato libero, sempre distaccato e assente, che ha abbandonato ogni volta l’ intimità, che non sa come gestire la vita e quello che essa comporta, responsabilità, amore, solitudine, sesso, storia, che ha scoperto uno spettro in ogni fotografia.
“ L’ uomo che aveva visto tutto “ esce da un costrutto classico per trascinarci in un caos che ci induca a riflettere sul significato della parola libertà, vera e presunta, sul senso di prigionia e di autoritarismo, sulla finzione e il legame con il proprio corpo, sulla vita con la sua onda sentimentale, su sbarramenti reali e immaginari.
Della propria vita si è capito ben poco così come di quella degli altri, forse tutte quelle fotografie che hanno cercato di fissare un attimo, credendo di impadronirsi dell’ altro, continuano egoisticamente a parlare di se’ e della propria storia.
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