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Ditelo a Sofia
 
Ditelo a Sofia 2022-03-29 07:51:59 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    29 Marzo, 2022
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La forza della dolcezza

"Ditelo a Sofia". Con queste parole il dottor Gàbor Nagy si congeda dal mondo stroncato improvvisamente da un infarto. Una frase lasciata in sospeso, raccolta da uno dei tanti pazienti che frequentano il suo ambulatorio, di cui nessuno si preoccupa di cercare la conclusione o di scoprire l'intento. Nessuno, ufficialmente, si prende la briga di raccontare alla diretta interessata, Sofia appunto, figlia undicenne del defunto, dell'ultima frase terrena del padre, dell'ultimo pensiero rivolto a lei. Tuttavia la ragazzina viene comunque a conoscenza di quanto espresso dal medico in punto di morte. Quel vago "ditelo a Sofia" diventa per la bambina un'ossessione, un tarlo, un pensiero costante. Perché già è difficile perdere un genitore, perché lo è ancora di più perderlo a quell'età, perché è una tragedia ancora più grande quando colui che viene a mancare è l'unico che riesce a capirti, che ti dà fiducia nonostante i continui fallimenti, che ha sempre una parola buona, un sorriso, una carezza. Perché sapere che voleva dirti qualcosa, prima di lasciarti per sempre, e non conoscere le sue ultime volontà può diventare straziante. Sofia continua a pensarci, ogni momento, mentre guarda lo studio passare in mano ad un altro medico, con tutti i libri, con il cranio Tobia su cui papà le spiegava i meccanismi del cervello; mentre guarda la mamma impacchettare la loro roba in vista del trasloco, perché la vecchia casa è diventata troppo grande e costosa ora; mentre prende possesso del nuovo appartamento che segnerà per lei e la madre una nuova vita. Non smette di farlo neanche durante le lunghe e afose giornate estive senza scuola, senza la mamma che deve lavorare come ricercatrice presso l'Istituto di Pedagogia Sperimentale, senza la cuginetta Marianne che si trova all'estero, senza l'amica Dóra che non può più frequentare a causa di un brutto pasticcio tra adulti, le cui colpe ricadono sempre sui più piccoli. Allora Sofia decide di agire, vuole scoprire chi era il paziente presente nel tragico momento, sapere dove abita, andare ad interrogarlo. Si fa coraggio, la voglia di conoscere la verità la spinge a fare cose impensabili fino a quel momento per lei che, alla maggior parte degli adulti, appare sempre lenta, svogliata, distratta, con la testa tra le nuvole, taciturna, incapace di concentrarsi. A tutti, tranne che al povero padre e alla zelante maestra Màrta Szabó, ex compagna di studi della madre dalla quale la separano una storica rivalità e una incolmabile differenza di vedute. "Tu, ancora una volta, ti rendi conto solo di quello che hai sotto il naso, come le sufficienze risicate sulla pagella di Sofia, ma che ne sai delle ambizioni e delle attenzioni di questa ragazzina? Il fatto è che lei le dirige verso altre cose, cose ben diverse da quelle che a te verrebbero mai in mente. Lei è ancora come una sfera, non riesci ad afferrarla perché non ha uno spigolo, per fissarla a una superficie solida, ma continua a rotolare di qua e di là. Ha un segreto, una molla nascosta, che toccata al momento giusto farà scattare un meccanismo: prima o poi ci arriverò, riuscirò a trovarla, perché io ci riesco sempre, al massimo non so spiegarlo scientificamente, e non ci scrivo sopra dei libri. I libri continua a scriverli tu. Prima o poi ci sarà qualcuno che ti dirà chiaro e tondo quello che qui a scuola pensiamo dei tuoi libri". Le ricerche portano Sofia a casa del terrificante bidello della sua scuola, Istvàn Pongràcz, ribattezzato dagli alunni signor Pista. Un cartello affisso alla porta del suo alloggio, nell'umido scantinato dell'edificio scolastico, recita lo sgrammaticato e poco incoraggiante invito a "NONBUSARE". Senza bussare, Sofia attraverserà quella porta avviando una serie di concatenati malintesi che stravolgeranno la sua vita e quella delle persone che le gravitano intorno, portando scompiglio ma anche felicità e intraprendendo una strada che la condurrà verso una crescita personale che la riscatterà agli occhi miopi di chi non aveva creduto in lei. Una trama intensa, una scrittura elegante, una protagonista che entra subito nel cuore del lettore per restarci a lungo, sono i punti cardine di questo delicato piccolo capolavoro di Magda Sazbò. La grande scrittrice ungherese è molto attenta nell'adattare lo stile alle peculiarità dei vari personaggi, dall'eminente ricercatrice Judit all'umile muratore Testadicarta, caratterizzando bene ogni personalità. La drammaticità della storia è mitigata da momenti di piacevole comicità, ma soprattutto dalla dolcezza che pervade ogni pagina, dall'empatia sprigionata dalla protagonista, dalla sorprendente forza che può risiedere in un essere così piccolo, delicato, fragile, che guarda il mondo degli adulti con circospezione, timore, incertezza, apparentemente senza capirlo, in realtà riuscendo meglio dei grandi ad interpretarlo e, anche se rocambolescamente, renderlo migliore. "«Fino a ieri non m’ero accorta che ormai non sei più orfana.» Fece un passo indietro, sul volto le si dipinse un’espressione di tristezza incollerita, di dolore e offesa. Che se ne andasse, senza nemmeno salutarla, che andasse pure. Come poteva essere tanto cattiva, senza cuore? Papà. Papà! «Ma forse non lo sai neanche tu?» Ma cosa? Il cuore iniziò a batterle forte forte, quel momento la disgustava ma la attraeva nello stesso tempo. Non sapeva se avrebbe preferito che la signora Márta glielo dicesse, o che tacesse. «Hai un sacco di papà. Si vede che quando un bambino resta orfano, il mondo intero gli fa da padre.»La porta a vetri si apre e si chiude, i rumori del traffico dalla strada. Sofi si siede sulle scale davanti al palazzo del Municipio, posa il viso sulle ginocchia, tiene accanto la cesta per la spesa. Mentre si siede, nel grembiule sente tintinnare i soldi che le ha dato il signor Pista. Il sole le batte caldo sulla nuca. Dietro le palpebre chiuse vede papà, spilungone e con gli occhiali, che ride, nel suo studio e solleva Tobia: «Tobia è un vero dongiovanni, ha tutti i denti a posto!» E poi non è più nello studio, ma su un’impalcatura, papà ha un sacchetto di carta in testa, una cazzuola in mano, e fischietta, fischietta il motivo che fa A settembre matura, bella mia, l’uva nera. Poi apre un cassetto, cerca tra le cartelle cliniche, ha una camicia beige, aperta sul collo, una gamba ingessata fino al ginocchio, fuma la pipa e brontola: «Imbranata! Tonta!» Qualcuno si china su di lei, un estraneo, non gli vede neanche la faccia, ma le mette una mano sulla spalla e le chiede: «Qualcuno ti ha fatto male, bambina?» Sofi non alza lo sguardo, perché non riesce a parlare, si limita a scuotere il capo, e la frase che aveva tanto cercato ora squilla nel suo cuore, come una campana. Soffia il vento, stormiscono le foglie degli alberi intorno al Municipio".

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Commenti

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Enrico, io non son proprio riuscito ad apprezzare questo libro.
Dopo aver amato altre opere dell'autrice, come "la porta" e "La ballata di Iza" , avevo alte aspettative che questa volta sono andate deluse. E' stata soprattutto la scrittura (o traduzione?) a non avermi coinvolto.
Mi dispiace che non ti sia piaciuto, Emilio. Io non ho notato differenze di stile rispetto a "La porta" se non nel fatto, volontario credo, che per qualche tratto l'autrice abbia adattato il linguaggio alle caratteristiche del personaggio. Per il resto, la figura della piccola Sofia mi ha molto coinvolto emotivamente e questo, probabilmente, mi ha fatto passare in secondo piano le pecche di cui parli.
Bella sinossi, Enrico.
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