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Ha odiato il mondo prima che il mondo odiasse lui
Mi sono approcciata a questo libro con, lo ammetto, un po’ di scetticismo. Non appartiene, infatti, al genere di lettura che prediligo, ma il tanto acclamato film che ne è stato tratto mi ha spinto a incuriosirmi e informarmi. E perché no, ogni tanto bisogna provare qualcosa di nuovo.
Bene, sono contentissima di aver dato una possibilità a “Il potere del cane” perché mi ha spiazzato e si è conquistato un posto nella mia top di libri preferiti!
La trama in sé è abbastanza semplice: Phil e George Burbank sono due fratelli che vivono in Montana nel ranch messo in piedi dai loro genitori (il Vecchio Signore e la Vecchia Signora) che da un po’ si sono dati a un meritato pensionamento. Tutto fila liscio nella loro vita, i due fratelli sono incastrati in una sorta di monotona quotidianità in cui, almeno a Phil, piace crogiolarsi. Sono ricchi, benestanti e questa loro condizione sociale fa sì che possano essere chiunque: se Phil vuole vestirsi con una camicia a quadri e lavarsi solo ogni paio di mesi, lo fa. E nessuno si prende la briga di dirgli che non è decoroso, perché lui è un Burbank e può fare quello che vuole.
I due fratelli vengono descritti e caratterizzati in maniera magistrale, in modo semplice eppure così efficace da renderli reali (forse anche perché Savage ha preso a piene mani da persone realmente esistite nella sua vita).
Phil è il maggiore, ha quarant’anni ma ne dimostra molti meno, è alto, snello, con occhi azzurro cielo a cui non sfugge niente e con i quali non vede il mondo ma lo osserva. Con i lineamenti spigolosi quanto la sua indole, Phil è benvoluto dai braccianti del ranch anche se ha un carattere un po’ complicato. Di fatto, Phil disprezza ciò che è diverso da lui, ciò che turba l’andamento regolare della sua vita e ciò che è come non dovrebbe. Sa essere crudele, non ha il minimo riguardo nell’umiliare le persone (fratello compreso) e dice sempre quello che pensa senza preoccuparsi di ferire gli altri. È schietto e senza scrupoli, è un po’ un cane rabbioso. Eppure a volte è anche capace di apprezzare le cose, di non avere pregiudizi, come verso il bracciante ex detenuto che ha assunto. Non gli importa cos’abbia fatto, gli importa solo che faccia bene il lavoro per cui lo paga, che si rimbocchi le maniche e si impegni in qualcosa.
Phil è un personaggio complesso, che nasconde dei segreti, che ha una motivazione per comportarsi come fa. E il lettore lo scoprirà pagina dopo pagina; a volte lo odierà, ma altre volte lo comprenderà e ne avrà forse anche un po’ compassione.
Poi c’è George. Lui si occupa più dell’amministrazione del ranch, è taciturno, basso e corpulento. Non è grezzo come Phil, ma non è neanche così intelligente (Phil, di fatti, è l’unico dei due ad aver conseguito una laurea ed è decisamente più sveglio). È di animo buono, a volte ingenuo, e non ci è chiaro quanto sappia del vero Phil e di cosa lo spinga ad essere spesso meschino.
C’è uno strano legame tra i due fratelli; si voglio bene, a loro modo, perché hanno l’un l’altro. Eppure tra loro ci sono valanghe di segreti e non detti.
Tra questi, l’evento che dà il via alla storia: George, che scopriamo quindi non essere poi così felice della vita da scapolo col fratello, si sposa con la vedova Rose Gordon. Il tutto all’insaputa di Phil, che si ritrova la cognata in casa da un giorno all’altro.
Apriti cielo! Per Phil, che odia i cambiamenti, non potrebbe esserci nulla di peggio.
Da questo momento ha inizio un climax di tensione, ansia e disagio che coinvolge il lettore, lo fa sussultare ad ogni occhiata di Phil rivolta a Rose, lo fa temere per le sorti dei personaggi travolti da emozioni e sentimenti schiaccianti, oppressivi. E la situazione peggiora ancora di più quando in autunno arriva ospite il figlio sedicenne di Rose, Peter Gordon.
Il romanzo di Savage scava nei meandri più oscuri e reconditi dell’animo umano, racconta di emozioni represse, di odio, di rabbia. Racconta il cambiamento che prima o poi coinvolge tutti, anche chi lo rifugge in tutti i modi, e racconta dell’essere diversi in una società chiusa e gretta, fatta di regole e pregiudizi e standard. Come il cowboy che non può che essere un uomo macho, grezzo e che puzza. Altro non è contemplato. O come la vedova di un suicida alcolizzato che se sposa un ricco mandriano allora è un’arrampicatrice sociale; o come un ragazzo a cui non è permesso fare dei fiori di carta per abbellire la tavola.
E tutto questo, tutto ciò che racconta il romanzo, è il potere del cane: è essere predatore e preda, è essere diverso, speciale ma anche vittima.
Lo stile di scrittura è favoloso, sono rimasta incollata alle pagine anche quando Savage si prende del tempo per parlare della libreria di George, piena di riviste che non legge da anni e che se ne sta lì da decenni affianco a quella di Phil, che contiene oggetti di tutt’altro genere (sempre per rimarcare le differenze tra i due fratelli). O anche quando in un capitolo, di punto in bianco, non si parla più dei Burbank, ma degli indiani relegati in una riserva. E mentre leggi ti chiedi: che c’entra ora la libreria? Perché è così importante? E adesso perché gli indiani?
E tutto torna in maniera incredibile, con un senso, con un perché. Come il karma, come gli eventi che si susseguono, come un cane che si morde la coda: a partire dalla cruda descrizione della castrazione dei vitelli al suicidio di un uomo perché ha subito l’umiliazione di un cowboy che detestava gli alcolizzati.