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Nel blu tra il cielo e il mare
 
Nel blu tra il cielo e il mare 2022-03-03 18:34:41 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    03 Marzo, 2022
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Questa terra rinascerà

"A quei tempi non ero ancora nato. Ma quando entrai nel blu, quando diventai quello che diventai, Sulayman mi rivelò ogni cosa. Non lo capisco appieno, né pretendo che lo facciate voi. Ma forse potrete convincervi, come ne sono convinto io, che esistono verità che sfidano altre verità e spingono il tempo a ripiegarsi su se stesso." Beit Daras, ridente cittadina adagiata sulle colline palestinesi cullata dal dolce brusio del fiume Suqreir che la attraversa, è il luogo dove comincia la storia raccontata, con una dolcezza malinconica e uno stile impeccabile, da Susan Abulhawa. È qui che conosciamo Umm Mamduh, la "pazza" posseduta dal benevolo e potente ginn Sulayman, la capostipite di una generazione di donne che, in un arco temporale di circa settant'anni  ci porterà fino ai giorni nostri ripercorrendo le vicende di una famiglia che viaggiano parallele a quelle di un popolo sottomesso, usurpato, derubato della terra, della storia e della dignità come quello palestinese. La guerra, l'esilio, la resistenza pesano come macigni su ogni pagina, ma lo spirito di sopravvivenza, la voglia di vivere che si può trovare anche nelle piccole cose, la forza dei sentimenti non può cessare, non si può impedire alle persone, ai popoli, di vivere. Allora, anche con Beit Daras rasa al suolo, anche confinati in quella prigione a cielo aperto che è diventata la Striscia di Gaza, anche se la cieca furia degli israeliani ha sconvolto la vita della matriarca e dei suoi tre figli, violentando la bella e focosa Nazmiyeh, azzoppando e poi costringendo ad emigrare il rispettoso e laborioso Mamduh, stroncando in tenera età la vita della dolce ed eterea Mariam, si va avanti. Si supera l'embargo con tunnel sotterranei attraverso i quali si contrabbandano ogni genere di prodotti, si costruiscono case usando macerie, oggetti con materiali di fortuna, si combatte con le fionde contro le armi più sofisticate, con l'orgoglio contro l'arroganza, con la resistenza contro l'oppressione. "Nel trasporto di quella solitudine, potevamo vedere quant’eravamo minuscoli, quant’era piccola e indifesa la nostra terra. E da quella terribile dignità, sentivamo sgorgare il sussurro delle parole di un’anziana donna dei tempi passati: Questa terra rinascerà." Si vive, si ama, si soffre, si gioisce. Nascono altre generazioni, nuove donne si trovano a doversi sobbarcare il peso della famiglia. Alwan, la cugina Nur rientrata in patria dagli Stati Uniti, la piccola Reth Shel, sono gli ingranaggi di quel ciclo infinito che mette sempre una donna al centro della vita. Quella vita sofferta il cui il male è ripagato da gioie semplici, che trascorre in un'atmosfera tragica ma colorata di quel tono di blu che tinge la Palestina delle gradevoli sfumature del cielo e del mare. Quello stesso blu in cui è immerso Khaled, voce narrante e vero filo conduttore di questa epopea familiare, quel blu che caratterizza una zona al confine tra la vita e la morte, dove il bambino si trovava all'inizio di questo racconto, amico immaginario della tenera Mariam ai tempi di Beit Daras, e si trova alla fine, immobilizzato dalla malattia in un mondo incorporeo dal quale osserva e racconta il passato e il presente, immaginando un futuro migliore, in cui il suo popolo possa uscire da questa condizione di vita "non-vita", così simile alla sua, in cui è costretto nella pressoché generale indifferenza del mondo. "In quegli attimi tutto sembrò possibile. Le incertezze e le precarietà della vecchiaia, la malattia in remissione dentro il corpo di una madre, padri e fratelli senza lavoro, un figlio che tornava dopo una vita dietro le sbarre, un bebè nel grembo di una donna non sposata, le potenzialità di una bambina. Tutte queste cose – rinchiuse e sbarrate dal mare e dalle navi da guerra a ovest, dai reticolati elettrici e dai cecchini a est, da formidabili eserciti alle due estremità, nord e sud – potevano essere superate. Si fece tardi e, mentre si preparavano a tornare a casa, un canto familiare prese a danzare nel midollo delle loro ossa per poi vibrare nelle gole. Hajja Nazmiyeh fu la prima a intonarlo, e gli altri la seguirono.

Vieni da me
Sarò nel blu
Tra il cielo e il mare
Dove il tempo si ferma
E noi siamo l’eternità
Che scorre come un fiume."

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Commenti

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Enrico, non conoscevo affatto questa autrice. Una bella segnalazione, quindi.
Laura V.
06 Marzo, 2022
Ultimo aggiornamento:
06 Marzo, 2022
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Grazie, Enrico, oper avermi riportato alla mente questo romanzo della Abulhawa con la tua bella e appassionata recensione! Letto qualche anno fa e molto apprezzato, così come "Ogni mattina a Jenin" della medesima autrice. Spero che esca presto un nuovo romanzo; il terzo, per quanto appassionante, si era rivelato diverso dai primi due, secondo me.
@Emilio: per me è la seconda esperienza con l'autrice, dopo "Ogni mattina a Jenin", e sono state entrambe positive. In entrambi i libri è centrale la questione palestinese, un tema che mi sta molto a cuore.

@Laura: grazie a te, Laura. Credo tu ti riferisca a "Contro un mondo senza amore" che non ho ancora letto, quindi per ora non sono in grado di dare un giudizio. Ho letto però la tua recensione, in cui sottolinei un certo cambio nello stile dell'autrice rispetto al passato. Come te, attendo qualche nuova uscita, sperando di trovare le giuste conferme.
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