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Non si uccidono gli usignoli
1935, in un’Alabama (del Sud!) che assomiglia molto, anzi troppo, al Mississippi di quasi un secolo prima, cioè a quello di Tom Sawyer e Huckleberry Finn, la piccola Jean Louis Finch, per tutti Scout, ci narra le sue giornate nella sonnolenta e apparentemente placida cittadina di Maycomb, dove l’evento sociale principale della settimana è la funzione domenicale in chiesa e dove la maggior parte delle notizie di cui valga la parlare vengono diffuse dalla pettegola locale, la signorina Stephanie. Assieme al fratello maggiore Jem e alla frenetica e fantasiosa presenza estiva di Dill, un ragazzino irrefrenabilmente bugiardo, compie scorribande nel vicinato, cercando di mostrarsi più maschiaccio degli altri due compagni di gioco. Tuttavia l’unica occasione per provare qualche brivido è la casa dei Radley dove vive il misterioso Boo che nessuno ha mai visto e che non si sa neppure che aspetto abbia, ma che le voci di paese affermano essere pazzo, brutale e feroce. E sul mito di Boo i tre recitano sempre più truculente scene e giungono perfino a tentare la sorte con rapide incursioni nel suo giardino.
La realtà degli adulti, però, farà prepotentemente ingresso nella loro vita fanciullesca, quando il padre, Atticus, avvocato di grande umanità e coraggioso civismo, sarà chiamato ad assumere la difesa d’ufficio di Tom Robinson, un bracciante di colore (un “cioccolato” come li chiamano in paese) accusato di violenza carnale ai danni della giovane Mayella Ewell. Tutti sanno che Tom è innocente e, probabilmente, l’unico a picchiare la ragazza è il padre, Robert, un alcolista sfaccendato e violento. Ma tutti sanno pure che la giuria condannerà Tom e, in Alabama, la pena per stupro è la sedia elettrica. Lo sanno tutti, eccetto i tre ragazzini. In particolare Jem e Scout, istruiti dal saggio padre, credono in un mondo in cui la giustizia sia uguale per tutti; dove non ci sia posto per una società piegata sotto desuete, contorte convinzioni che vogliono i neri sempre dediti al peccato e alla menzogna; dove questi non siano visti solo come oziosi parassiti o nemici pericolosi sempre in agguato pronti ad insidiare le donne dei bianchi. I due ragazzini non conoscono l’ottuso razzismo, la stolida acquiescenza al mito della superiorità bianca che alimenta i loro, per altri versi, civilissimi e compassionevoli concittadini. Perciò…
Come, non hai mai letto “Il buio oltre la siepe”? Questa era una domanda che mi sono sentito rivolgere tempo fa, domanda a cui ho dovuto rispondere ammettendo che, sì, non mi ero mai accostato a quel libro. Un po’ perché temevo il confronto con il bellissimo film (con Gregory Peck) che ne trasse il regista Robert Mulligan, un po’ per il tema trattato: se c’è una cosa che mi manda in bestia sono i soprusi (anche quelli solamente letterari), ma la storia si incentra proprio su un orrendo sopruso. Quindi non avevo voglia di tuffarmi in un mondo che mi avrebbe solo irritato e messo di pessimo umore. Poi il caso ha congiurato a mio favore e, trovandomi il libro per le mani, l’ho letto e ho scoperto di quanto mi sbagliassi.
La mossa vincente del romanzo è far raccontare la vicenda dalla prospettiva della dolcissima Scout, la bambina che tutti vorrebbero avere come figlia, personaggio che non si può amare sin dalle prime pagine. La sua purezza d’animo e la sua innocenza conferiscono un’aura di dolcezza e tenerezza infantile anche alle vicende più crude che, altrimenti, sarebbero solo squallide, meschine quando non crudeli e puro distillato di stolida sopraffazione.
La storia narrata da Scout è un piccolo capolavoro garbato e commovente da gustare sino alla fine che, se proprio non può essere definita lieta, è, per lo meno consolatoria, e ci dà l’illusione che, ove non giunga la giustizia fallace e parziale degli uomini, forse esista qualche intervento superiore che si industri a rimettere a posto le cose.
In uno stile che mima alla perfezione quello che potrebbe essere il modo di esprimersi di una ragazzina di otto anni, intelligente e dotata, ma pur sempre deliziosamente immatura, la storia fluisce rapida e piacevole sotto gli occhi. Anche quel certo distacco che Scout sembra conservare tra i fatti cruciali narrati, per quanto intimamente partecipati, e la sua vicenda personale è perfettamente logico e coerente, perché, per loro fortuna, i bambini sono protetti da un potentissimo baluardo che, sin quando è possibile, li preserva dall’essere troppo coinvolti in fatti dolorosi che non li travolgano troppo da vicino.
Insomma dopo le mie tante, troppe ritrosie iniziali confesso di essermi innamorato di questo romanzo perfetto nella sua invincibile semplicità.