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Approvato da Crudelia De Mon
Nel corso della Storia sono stati pubblicati miliardi di libri, ma ben pochi sono riusciti ad arrivare fino ai giorni nostri per essere ancora stampati e letti. "La valle delle bambole" ha la pretesa di poter rientrare nell'immediato futuro tra questi classici della letteratura, ma personalmente mi auguro che le cose vadano diversamente: non solo perché lo stile di Susann è privo della personalità necessaria a superare la prova del tempo, ma soprattutto per la superficialità con cui vengono affrontate tematiche molto serie, ricorrendo ad un linguaggio già di per se offensivo e ormai -fortunatamente- superato.
Eppure questo romanzo viene tutt'ora pubblicato in nuove edizioni! e credo che la ragione di ciò risieda nel suo supposto avanguardismo. Ho notato che diversi recensori dalla mentalità affine a Lord Henry Wotton tendono ad elogiarlo per aver affrontato degli argomenti che all'epoca erano ancora un tabù; purtroppo io non sono dello stesso avviso, perché parlare di un tema in modo negativo e insultante non aiuta a cancellare un ingiusto tabù, ma serve solo ad aumentare la curiosità attorno al libro.
Ma vediamo brevemente la trama. La narrazione copre una ventina d'anni a cavallo tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e la metà degli anni Sessanta, con alcuni periodi sviscerati a fondo e alcuni completamente ignorati grazie a numerosi balzi temporali; la storia ruota attorno ad Anne Welles (a differenza di quanto promette la sinossi, Neely e Jennifer sono più che altro delle coprotagoniste), una giovane donna appena trasferitasi a New York con l'obiettivo di lasciarsi alle spalle la grigia vita della cittadina in cui è cresciuta. Così parte una storia dal ritmo narrativo frenetico, che rende molto difficile entrare in sintonia con i personaggi; l'autrice sembra inoltre scordarsi completamente di alcune sottotrame, come la terribile vendetta promessa da Allen di cui non si saprà mai nulla.
Di base, il romanzo vorrebbe raccontare il desiderio di emergere nel mondo dello spettacolo ed ottenere un'esistenza agiata, una strada che porta però i personaggi ad avvicinarsi alle cosiddette "bambole", pillole colorate con cui curare l'insonnia o lo stress, che causano facilmente una dipendenza. Quello dell'assuefazione da medicinali è forse l'unico aspetto trattato in modo consapevole e approfondito, oltre alla parte ambientata all'interno della casa di cura, che però penso di aver apprezzato solo perché mi ha ricordato l'amatissimo "Ladra" di Sarah Waters.
Passando ai (molti!) difetti, voglio tornare brevemente sullo stile: come ho già detto è alquanto sciapo oltre a risultare molto soapoperistico, povero di descrizioni e fin troppo ricco di dialoghi fatti da soli botta e risposta; dialoghi che tra l'altro suonano spesso artefatti, oltre che farciti da dozzine e dozzine di termini denigratori nei confronti delle minoranze (donne, omosessuali, persone in sovrappeso, ebrei) che secondo alcuni Susann ha contribuito invece ad emancipare!
E arriviamo ai due elementi che mi hanno davvero snervato durante questa lettura: personaggi e tematiche. I primi sono generalmente piatti e stereotipati, oltre ad essere tanto numerosi da risultare a tratti intercambiabili, soprattutto per quanto riguarda quelli secondari. Ho letteralmente detestato seguire le loro vicende perché sono tutti delle persone orribili; lungi da me volere un cast di eroi senza macchia, ma qui abbiamo solo l'imbarazzo nel dover stabilire chi sia il più spregevole, o quello che in un mondo normale sconterebbe più anni in carcere! E poi c'è Anne che ovviamente è una santa, e in quanto tale del tutto priva di dignità.
E concludiamo con i temi del romanzo, a parte quello della dipendenza. Come accennato, il libro ha la pretesa di sdoganare argomenti scabrosi per gli anni Sessanta, ma lo fa in maniera mortificante se non perfino triggerante: ad esempio, vengono menzionate decine di personaggi gay ma unicamente per essere insultati a caso, oppure le protagoniste dicono di volersi realizzare lavorativamente però nessuna si sente davvero felice senza un marito (che possa permettersi delle pellicce di visone, beninteso!) e dei figli. Forse sembrerò un'insensibile che non riesce ad empatizzare con il dramma dei personaggi, ma penso che qui sia da biasimare invece l'autrice per aver lucrato su problemi seri affrontandoli con un tono superficiale, degno di una commediucola.
La ciliegina sulla torta? il tema della guerra (e delle sue conseguenze) promesso nella sinossi copre circa due paginette nel romanzo, poi nessuno ne parla più. Molto verosimile, soprattutto visto il clima politico che si respirava negli anni in cui è ambientato.