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Secondo volume della quadrilogia "Giuseppe e i suo
Secondo volume della quadrilogia "Giuseppe e i suoi fratelli" di Thomas Mann.
Thomas Mann, imponente scrittore tedesco della letteratura classica mondiale, ha dichiarato nella prefazione di questa opera che se da giovane con "I Buddenbrook" ha tentato di descrivere una nazione e da adulto con "La montagna incantata" un continente, non poteva esimersi di raccontare nella vecchiaia sul mondo intero e questo suo proposito lo attua attraverso la quadrilogia "Giuseppe e i suoi fratelli", la sua opera più lunga e anche la più amata. Quasi duemila pagine per raccontare nei minimi particolari una breve storia del Vecchio Testamento, ovvero quella di Giuseppe, figlio amato di Giacobbe e di come egli fu venduto dai fratelli e di come si sono riuniti anni dopo in Egitto. Impresa titanica. In questo secondo volume, che è anche il più breve, si narra del giovane Giuseppe, della sua furbizia e narcisismo, di come attira i rancori dei fratelli nella sua convinzione di superiorità e di diritto di essere amato e venerato da tutti e infine di come egli fu venduto agli ismaeliti. Non è uno spoiler perché è appunto risaputa la trama, lo spunto dell'opera sin dal suo titolo. Potrebbe sembrare un argomento pesante e noioso ma non lo è affatto perché la bravura di Mann sta nel creare un mondo antico, da favola, in cui tutto è curato nel minimo dettaglio, verosimile, pieno di peripezie, di inganni, bugie, egoismi e superbia. Come anche nel primo volume, anche qui c'è tantissima ironia sia nei confronti di Giacobbe che di Giuseppe il che spesso suscita l'umorismo, la prosa davvero arguta. Non mancano gli affondi riflessivi e introspettivi. Un lungo percorso, ma fretta non c'è, prossimo anno proseguirò con la lettura del terzo volume. Nel frattempo non posso non consigliare questa importante e credo poco conosciuta creazione letteraria, un'esperienza che a mio avviso non può mancare nella carriera di un lettore forte. Almeno il primo volume.
"Poiché tutto avviene altrimenti da quello che si pensa, i pensieri degli uomini, quando percorrono ansiosamente il futuro, assomigliano un po' agli esorcismi e sono un ostacolo all'attuarsi del destino. Ma questo, per difendersi, paralizza la nostra immaginazione, così che essa tutto configura fuorché la fatalità che incombe, e quest'ultima, non scongiurata dai nostri pensieri, conserva in tal modo tutta la sua originaria natura e la sua annichilente potenza."
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