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L’ultima novella di Yehoshua
Nelle intenzioni dello scrittore, ormai ottantaquattrenne, malato da tempo, “La figlia unica” è il suo ultimo lavoro e, allo stesso tempo, è un omaggio all’Italia, sua seconda patria, così ama definirla.
Una storia apparentemente leggera, delicata come la protagonista dodicenne, Rachele, ma che invece tocca argomenti impegnativi come l’identità culturale e religiosa, la malattia del padre, la solitudine dell’essere figlia unica.
Rachele Luttazzo proviene da una famiglia di avvocati benestanti, con servitori e cuochi al seguito, suo padre Riccardo è ebreo e non vuole che la figlia, scelta per la sua bellezza radiosa a interpretare il ruolo della Madonna nella recita natalizia, partecipi all’evento. Figlia unica e unica nipote, viziata e abituata al lusso, ma anche quasi “adultizzata”, costretta a cavarsela da sola tra le strade di una grande città del Nord Italia e, in occasione delle vacanze natalizie sulla neve - inconcepibile! - abbandonata dal padre che non riesce a resistere alla seggiovia, si arrangia da sola per tornare all’albergo dove i familiari (padre compreso) si sono già riuniti.
Una famiglia mista, un nucleo ebraico disgregato, dove la madre è una convertita che non compare mai nella storia, è una vera ombra; delle nonne una è atea convinta, l’altra è una ebrea non praticante: Rachele viene da questo substrato, è una bella ragazzina alla ricerca della propria identità e delle proprie radici. Ma è, nonostante gli agi e la bellezza promettente, una ragazzina sola. Soli sembrano anche i compagni di classe, di cui alcuni in particolare, condividono con lei, il peso di mandare avanti la famiglia, avendo uno dei due genitori malati.
Altra tematica che qui non viene approfondita è, infatti, la malattia: il tumore al cervello di papà Riccardo, che Rachele chiama “l’appendice”, un’aggiunta che è cresciuta nella testa paterna per meglio comprendere il mondo. La malattia di cui soffre anche il nostro amato scrittore.
In questo racconto lungo, le radici ebraiche di quei pochi ebrei italiani, sembrano essere sempre in pericolo soprattutto in occasione del Natale, la festa cristiana più avvolgente e coinvolgente: le recite, le chiese magnificamente addobbate, le atmosfere e le prelibatezze culinarie tipiche, cibi assolutamente non kasher, quindi non adatti ai dettami dietologici ebraici.
Trova spazio all’interno dell’opera anche “Cuore” del De Amicis, in particolare due racconti, che la supplente pensionanda di italiano, raccomanda a Rachele di leggere, e qualche frecciatina al fascismo. La narrazione fa larghissimo uso di dialoghi che alleggeriscono, come si sa, la trattazione di argomenti gravi.
A lettura ultimata, il libro mi ha lasciato con una strana sensazione di incompiutezza, come se la leggerezza con cui sono stati trattati argomenti importanti, sia stata veramente un pò troppa. Alcuni argomenti avrebbero avuto bisogno di maggior respiro, di una articolazione della narrazione maggiore. Senza contare qualche superficialità sulla storia d’Italia. Anche il finale è così aperto che dà quasi fastidio. Piacevole, ma mi aspettavo qualcosa di più.
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Io penso anche a cosa potrebbero pensare gli stranieri dei nostri romanzi ambientati fuori dal l'Italia :0
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