Dettagli Recensione
Confessioni di un aspirante suicida
“Non mi piace la vita. La vita sarà pure tanto bella come afferma qualche cantante e poeta, ma a me non piace. Che nessuno venga a tessere le lodi al cielo del tramonto, alla musica o alle strisce delle tigri. Al diavolo tutti quegli ornamenti. Per me la vita è un’invenzione perversa, mal concepita e peggio realizzata. Mi piacerebbe che Dio esistesse per chiedergliene conto. Per dirgli in faccia quello che è: un pasticcione (…). L’unica scusa di Dio è che non esiste”. (p.13-14)
Un altro Aramburu, lontano mille miglia da quello di “Patria”, con cui l’avevo conosciuto. Per me uno scrittore che si reinventa sperimentando tematiche, idee e forme nuove dopo un enorme successo letterario, è degno di interesse.
E ogni romanzo nuovo di Aramburu va letto come esperienza a sè, senza confronti e senza inutili aspettative generate dall’aver letto un libro colossale (non solo per la mole) come quello che gli ha fatto meritare lo Strega europeo.
“I rondoni” è un libro che celebra la vita…attraverso il suicidio programmato. Che paradosso!
L’ironia, le rivelazioni crude, i pensieri che tagliano e scavano dentro ferendoci nel profondo qui sono ancora più forti e sono inseriti all’interno di una narrazione intima che segue la struttura di un diario scritto ogni giorno in maniera quasi maniacale dall’agosto di un anno imprecisato al mese di luglio di quello successivo.
L’espediente del diario, così come quello dell’ epistolario, ha il pregio della confessione senza filtro, senza ipocrisie e senza reticenze. E quasi sempre fa affezionare il lettore al protagonista.
Chi non riuscirebbe a provare empatia per Toni, il professore di filosofia cinquantaquattrenne, con un matrimonio frettoloso e fallito alle spalle, con una ex moglie che lo ha tradito per una donna, con un figlio problematico? Come non affezionarsi al suo amico Bellagamba - nomignolo appioppatogli in segreto dopo l’impianto di una protesi al posto del piede destro perso in un incidente - alla sua ossessione stramba per le visite ai cimiteri, alle sue idee sulle modalità di suicidio che animano le discussioni con Toni al solito bar di Alfonso?
Come non amare la cagnetta Pepa, compagna inseparabile, silenziosa e comprensiva come un essere umano?
Il (falso)focus dell’opera è organizzare al meglio il proprio suicidio: Toni e Bellagamba le hanno pensate veramente tutte, dall’impiccagione, considerata poco elegante, alla polvere di cianuro. Il nostro professore ha però deciso di lasciare questo mondo con calma: ha bisogno di un anno per i preparativi, vuole andarsene senza lasciare nulla di sè , tranne che qualche bene di valore al figlio Nikita.
Tutto fa tranne che vivere i suoi giorni come se fossero gli ultimi. La sua principale preoccupazione è disfarsi degli oggetti (libri compresi, ahimè) e dei ricordi: i primi li lascia in giro per la città, in un angolo della strada, sotto la panchina del parco…i secondi li elabora e li “digerisce”nella scrittura, che a questo punto direi quasi terapeutica. È un prepararsi al distacco, con lucidità e consapevolezza, dalle memorie, dai libri amati: un procedimento di cui Toni ha tutto sotto controllo. È un uomo che non ha mai vissuto nulla di eccezionale, è inacidito dalla vita, dalle vicende familiari, dal rapporto poco fraterno col fratello, dall’ amarezza che il matrimonio gli ha riservato, dal piattume dei suoi studenti, dalla sua vita sessuale squallida. Prima sesso a pagamento poi la rassicurante e disponibile Tina: la sua love doll. Toni arriva a caricare di umanità una bambola, a considerarla parte dell’ultima fase della sua vita, una ‘donna’ ideale che gli assicura piacere senza tanti rituali e sceneggiate, sicura e affidabile.
“Le donne hanno ormai l’accesso al mercato del lavoro, la capacità di prendere decisioni e l’indipendenza economica. Alcune più di altre, ovviamente, come noi, i loro eterni rivali oppressori, nati per non ascoltarle né comprenderle. Bene, molto bene. Se lo meritano. (…) Noi adesso abbiamo le love dolls. Presumo che se le avessero inventate prima, la storia dell’umanità avrebbe percorso strade meno sanguinose”. (p.234-235)
Eppure non possiamo considerare Toni un nichilista. Una delle sue frasi preferite è di Cioran “Il suicidio è un pensiero che aiuta a vivere” (p.388) ovviamente annotata nella sua Moleskine, raccoglitore di preziose citazioni, che ogni tanto dispensa anche a noi curiosi lettori. Ma non si esime dal disprezzarsi per questa sua necessità di legittimare alcuni suoi pensieri ricorrendo a citazioni “In materia di pensiero, sono come gli scarabei stercorari, che vivono nella merda altrui”.(p.670)
Toccanti, nelle ultime pagine, i ricordi legati alla madre, che ha sempre visto come dispensatrice nostop di calore, protezione e nutrimento, “tetta incessante” , “un essere che serve e che dà”(p.671) . Attraverso le memorie, sparse alla rinfusa man mano che scrive nel suo diario, scopriamo la storia familiare di Toni, i suoi traumi, i suoi dispiaceri, le sue prime esperienze amorose.
Scritto in prima persona, in uno stile che è talvolta pirotecnica verbale, l’opera apre spesso piccole finestre metaletterarie che ho apprezzato: considerazioni sulla talvolta discutibile qualità dei libri vincitori di premi letterari e di successo editoriale, giudizi personali sulle opere dal finale aperto, dichiarazione d’amore verso certi libri che hanno significato molto nella sua vita. Tuttavia mi sento di avvertire certi lettori che hanno apprezzato “Patria” per lo stile e per la storia: stavolta ci troviamo di fronte ad un libro diverso, per certi versi accostabile al romanzo postmoderno americano per l’assenza di filtri sia nel linguaggio che in alcune descrizioni, senza però esagerare e senza tuttavia far risultare queste caratteristiche estranee all’economia dell’opera.
I rondoni, che danno il titolo al romanzo, appaiono come messaggeri di speranza, insieme alla primavera, sono fortemente attesi da Toni e non compaiono molto spesso come mi sarei aspettata. Sono figure misteriose, che si mostrano quando meno te le aspetti e a volte, se le aspetti, non si fanno vedere: sono gli angeli dell’ateo che spera di salvarsi dalla noia del vivere, sono imprevedibili, incarnano il suo ideale di vita.
“Se avessi potuto scegliere tra nascere uomo e nascere rondone, visto come è andata avrei deciso per la seconda opzione. Dico sul serio. Ora starei divorando insetti nei cieli dell’Africa anziché respirare il fumo di automobili (…) Che bella filosofia esistenziale: uscire da un uovo, solcare l’aria in cerca di cibo, vedere il mondo dall’alto senza tormentarsi con domande esistenziali, non dover parlare con nessuno, non pagare le tasse né le bollette della luce, non credersi il re del creato, non inventarsi concetti pretenziosi come l’eternità, la giustizia, l’onore, e morire quando ti tocca, senza assistenza medica, né onoranze funebri “. (p.92-93)
Indicazioni utili
A chi ama le confessioni, i diari.
Commenti
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Sono rimasta piacevolmente colpita dal quasi trasformismo dell'autore. Che penna!...in ogni caso
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