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L'uomo che guardava passare i treni
 
L'uomo che guardava passare i treni 2021-12-01 20:51:37 anna rosa di giovanni
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anna rosa di giovanni Opinione inserita da anna rosa di giovanni    01 Dicembre, 2021
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Squali si nasce, non si diventa

L’UOMO CHE GUARDAVA PASSARE I TRENI (1938) di GEORGES SIMENON

Riletto 18 anni dopo, questo romanzo non ha perduto nulla per me dell’interesse e dell’emozione della prima lettura. Scrittura sobria, atmosfere parigine come quelle di film quale “Il porto delle nebbie” di Marcel Carné, che è proprio del ‘38, e una narrazione sempre tesa, anche perché, dopo l’introduzione, è il protagonista stesso che racconta via via ciò che vive - azioni, pensieri, sentimenti -, un protagonista peraltro singolare nella sua assoluta “normalità” borghese: un Olandese che, mutatis mutandis, immagino come quello de “I coniugi Arnolfini” di van Eyck, benchè un po’ più in carne.

Per un caso del tutto improbabile, una sera Kees Popinga (quale miglior nome per dire il ridicolo del personaggio?) incontra il suo principale, che tra un bicchiere e l’altro gli rivela di accingersi a suicidarsi per finta e fuggire con la cassa per andare a godersi la vita in qualche luogo esotico. Resosi conto di essere stato l’utile idiota del ricco armatore, senza mai accorgersi dei suoi loschi affari, Popinga, che si è sempre ritenuto più intelligente degli altri - non li batteva tutti giocando a scacchi? - vuole provare a se stesso e al mondo di essere anche lui un dominatore, persino uno che fa paura se vuole: “a quarant’anni ho deciso di vivere come mi piace, senza preoccuparmi dei costumi, delle leggi, perché ho scoperto un po’ tardi che nessuno li osserva e che fino ad oggi mi hanno preso in giro” (cap. VIII). Lascia quindi senza esitazioni famiglia, lavoro, paese, fiducioso di potersi prendere dalla vita tutto ciò cui finora ha rinunciato (i treni che vede sfrecciare rappresentano per lui le misteriose avventure che da sempre avrebbe voluto vivere) per adattarsi a desideri e principi mai sentiti veramente suoi, e innanzitutto va a proporsi all’amante del suo principale, che non immaginava essere una prostituta d’alto bordo (anche lei quindi in un certo senso lo ha preso in giro). Senonchè lei ride di lui e lui, offeso dal suo riso di cui sente il significato offensivo, la strangola. Scattano le ricerche da parte della polizia e tutti i giornali parlano di lui. All’inizio questa situazione di assoluta irresponsabilità e perciò di assoluta potenza, lo esalta come una partita a scacchi del cui esito lui è sicuro, fidando nella sua abilità di prevedere le mosse dell’altro, e persino pretendendo che stampa e polizia si occupino di lui come di un uomo estremamente interessante. Ma la vita è più complicata di un gioco e lui deve non solo fare i conti sia con un progressivo indebolimento della sua baldanza iniziale a causa della crescente solitudine (tutto si svolge nel periodo natalizio …) sia con quella che gli sembra colpevole incomprensione da parte dei giornali, che lo definiscono “il pazzo di Amsterdam”, ancor più quando avrà aggredito una seconda donna, che pure gli si era rifiutata. Alla fine nuovamente il caso porterà scompiglio tra le sue pedine, dandogli scacco matto: uno dei più abili scippatori d’Europa (!), che lui ha preso per un turista americano, gli ruba tutto il denaro che gli resta riducendo così drasticamente le sue possibilità di fuga e soprattutto rivelandogli che in realtà lui “è solo un dilettante” e come tale non meritevole dell’attenzione della stampa e della polizia (a proposito di polizia, sicuramente Popinga si occupa del commissario Lucas più di quanto Lucas si occupi di Popinga). Scopertosi “un dilettante”, Popinga desidera ormai solo una cosa: sparire, ma non senza aver prima scritto a un giornale che quando la sua lettera giungerà a destinazione, lui avrà già iniziato una nuova vita in un luogo che non rivela. E che vita! “Avrò un nome onorevole, uno stato civile indiscutibile, e farò parte di quella categoria di persone che possono permettersi tutto perché hanno denaro e cinismo (…) tratterò grossi affari (…) sceglierò le mie amanti ufficiali tra le star del teatro e del cinema”. A questo punto, avendo ben pianificato la sua azione - pensa -, con addosso solo un brutto soprabito perché nessuna traccia porti alla sua identificazione e alla smentita di quanto ha scritto, si stende sui binari del treno… Senonchè - altro caso da lui non previsto - i macchinisti lo vedono, lo portano al sicuro ecc. ecc. e Popinga si ritrova infine in un manicomio olandese dove la moglie va a trovarlo cercando inutilmente di coinvolgerlo nelle problematiche familiari e un dottore non capisce quanto matto lui sia. D’altra parte lui stesso si è sforzato per tutto quel tempo di spiegarsi e di spiegare al mondo la sua propria personalità, ma … “Non c’è una verità, vero?”, dice al medico sorpreso di trovare vuoto il quaderno in cui il suo paziente si proponeva di scrivere “La verità sul caso di Kees Popinga”.

NOTE. 1. Circa l’accostamento al protagonista de “Lo straniero” di camus, Popinga è chiaramente un personaggio antipatico, in quanto incapace di empatia persino coi suoi figli e costantemente preoccupato di essere apprezzato dagli altri e adeguato alle aspettative sociali, però non mi sembra che lo si possa equiparare a Meursault, che per Camus è fondamentalmente l’uomo che nega ogni retorica, l’uomo che non finge, e quindi, nonostante tutto, un personaggio positivo; 2. In un primo momento pensavo di intitolare la mia opinione “La vita è più complicata di una partita a scacchi” oppure “Eppure il più bravo ero io!” e alla fine ho scelto quello che vedete pensando alle pagine antecedenti il tentativo di suicidio, in cui l’accento è sul giudizio di dilettantismo che Popinga esprime su di sé.

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Consigliato a chi ha letto...
qualunque cosa, nonchè il cinema francese degli anni '40 e '50.
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