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ESSERE O NON ESSERE
Dalla lettura di “Non lasciarmi” e “Quel che resta del giorno”, due romanzi all'apparenza diversi, mi è sembrato di scorgere un medesimo motivo che scorre sotto traccia: il non essere.
Tutti i protagonisti, dell’una come dell’altra opera, assistono da spettatori impotenti allo svolgersi di vite altrui di cui loro sono meri strumenti funzionali al pieno compimento. Nessun sussulto di ribellione, nessuna pretesa attraversa le menti di chi, nato non per essere ma per servire, non ha motivo di rivendicare riconoscimento alcuno. E senza riconoscimento non c’è identità.
Pregevole anche la scrittura di Ishiguro, capace di descrivere con toni soavi e sfumati, le atmosfere rarefatte dei luoghi, le sottili sinapsi che scorrono tra le persone, di evocare con poche, asciutte parole l’universo intangibile dei ricordi, dei gesti incompiuti, dei sentimenti trattenuti e far sì che il non vissuto si animi di vita e diventi esso stesso essenza di vita.
Un’ultima notazione riguardo alle trasposizioni cinematografiche di queste due opere: scialbo, didascalico “Non lasciarmi”, intenso al pari del libro “Quel che resta del giorno”.
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