Dettagli Recensione
Una breve luce
"Valérie le aveva dato la vita, l'aveva vestita e nutrita e aveva provveduto a darle un solido tetto sopra la testa. Non l'aveva mai picchiata né maltrattata. Semplicemente l'aveva ignorata".
"Maman, cercherò di perdonarti".
Cos'ha incrinato nel tempo il rapporto tra Émilie de la Martinière, giovane veterinaria di trent'anni, discendente da una nobile famiglia, e sua madre Valérie, "una tra le più belle, affascinanti e munifiche signore di tutta Parigi"?
"Da bambina Château de la Martinière era stato il suo santuario, un luogo di pace, un rifugio sicuro; quella tranquillità era impressa in maniera indelebile nel profondo del suo animo."
Alla morte della madre, Émilie si ritrova, sola e disorientata, a ereditare un maestoso ma fatiscente castello nel Sud della Francia. Cosa deciderà di farne?
Sono questi interrogativi a mantenere inizialmente viva l'attenzione di chi legge.
Ma dal momento in cui si assiste a un salto indietro nel tempo, agli anni della Seconda guerra mondiale ed entrano in scena la bellissima e sfortunata Sophia, il suo protettivo e intrepido fratello Édouard (il papà silenzioso e riflessivo di Émilie), e l'altrettanto coraggiosa inglese Constance, ecco che la vita della giovane de la Martinière, la sua storia con Sebastian (il nipote di Constance), il rapporto conflittuale di quest'ultimo con il fratello Alex, il legame di Émilie con la madre e le scelte per il suo futuro cedono il passo.
Infatti le pagine nelle quali si racconta di Sophia (di cui a Émilie giunge un vecchio taccuino di poesie) e si ricompone la storia della famiglia de la Martinière sono le più apprezzabili: qui si concentrano tenerezza, amore, paure, orrore e coraggio dinanzi al Nazismo e alla guerra e queste pagine, intervallandosi con il presente di Émilie, diventano il vero input per proseguire nella lettura.
Poi la scrittura semplice e scorrevole, l'alternarsi tra presente e passato che non toglie fluidità alla narrazione (anzi l'arricchisce), le ambientazioni suggestive (qui si va dalla bellezza del Sud della Francia alla più desolante brughiera inglese) fanno sì che le pagine, pur poco meno di cinquecento, si susseguano con facilità fino all'ultima.
"La luce alla finestra" è il secondo libro che ho letto della Riley e lo preferisco a "La stanza delle farfalle", tuttavia resto dell'idea che le storie dell'autrice siano letture romantiche, leggere e disimpegnate che però nel tempo non si riveleranno indimenticabili.