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Storia di parole non dette
Farò già subito un'associazione bizzarra a questo romanzo: "Lavversario" di Carrère, o quello che avrebbe forse dovuto esserlo. "La mano" di Simenon ha come protagonista un uomo realizzato, con una brillante istruzione alle spalle, è socio di uno studio legale, marito fedele e premuroso e un buon padre, una casa nella provincia e una vita "normale", adagiata in un perbenismo e in una armonia tipicamente americana, annaffiata da bicchieri di whiskey e scotch. E così, dopo ben diciassette anni di quiete, basta una porta aperta su una scena a scatenare una tempesta, sia fisica in quanto il libro si apre con una tempesta di neve ma anche e soprattutto interiore nella quale per la prima volta il protagonista rivaluta se stesso, il suo trascorso e mette sulla bilancia i suoi desideri veri e l'attuale vita che si è costruito su dei modelli predefiniti. Durante queste intense pagine, si scoprirà un altro Donald, cinico, anaffettivo, egoista e vigliacco, invidioso e dulcis in fundo con istinti omicidi. La differenza sostanziale con Carrère è che "La mano" è scritto rigorosamente in prima persona e il viaggio è soprattutto interiore, si entra nel vortice dei pensieri del protagonista che man mano diventano sempre più oscuri e sempre più ossessi, si percepisce il suo squilibrio psicologico e l'epilogo è segnato già dall'inizio. Certo, "L'avversario" è la ricostruzione di una storia vera, ma quante storie vere non ce ne sono, nel mondo, come quella di Donald? Più di quello che pensiamo... Lo stile della scrittura è molto accurato e la narrazione è molto più profonda di quello che può apparire, c'è un intenso gioco di elementi contrari che si attraggono e si respingono, a partire dal silenzio condiscende della moglie di Donald, Isabel - che gli parla con i sguardi, sguardi che lo ossessionano e che il lettore non potrà mai sapere se effettivamente corrispondono ai messaggi che Donald capta oppure se sono solo sue malsane impressioni - e i pensieri irrequieti, svegliati dal letargo dopo tutto questo tempo che assillano in modo assordante Donald. Anche i personaggi sono antitetici: Donald e Ray, Isabel e Mona. Si cerca anche di motivare in qualche modo questo insano atteggiamento di Donald con una rigidità affettiva da parte dei genitori quando era piccolo, modello che probabilmente lui ha ricercato da grande in Isabel ma personalmente non credo in queste cose e non so se ha seminato questi dettagli come possibile motivazione del suo comportamento oppure come cliché ironico. Ad ogni modo "La mano" è davvero un testo intenso, scritto molto bene, con delle suggestive ambientazione e rappresenta, a mio avviso, un modello per ciò che "L'avversario" di Carrère avrebbe dovuto essere, ossia uno scavo nella mente del protagonista, la realtà vista attraverso i suoi occhi.
PS: ho trovato l'ultima battuta del libro, volutamente assurda, che spiazza e lascia il dubbio su chi sia il vero matto della situazione.